Caso al Tevere-Nera: «Io vittima mobbing»

Terni, la vicenda personale e professionale di un dipendente del Consorzio finisce in tribunale. Con tanto di denuncia penale

Condividi questo articolo su

Dalle stelle alle stalle: un’odissea lunga tre anni, quella di un dipendente del consorzio di bonifica Tevere-Nera, finisce in tribunale in seguito alla causa di lavoro per mobbing intentata nei confronti dell’ente, seguita anche da una denuncia penale. L’uomo, che ha 49 anni ed è assistito dagli avvocati Lorenzo Filippetti e Francesca Pettinari, ha citato il consorzio Tevere-Nera attraverso un dettagliato ricorso al tribunale del lavoro. La prima udienza, di fronte al giudice Chiara Aytano, è stata fissata per il prossimo 7 ottobre.

Apprezzato L’assunzione del dipendente risale al 1990 e, secondo quanto ricostruito dai suoi legali nel ricorso, fino al 2012 il suo lavoro viene costantemente apprezzato e riconosciuto da colleghi e dirigenti, con quest’ultimi che gli affidano mansioni via via più importanti che lui ripaga riuscendo a risolvere, grazie anche alle competenze in ambito informatico, tutta una serie di problemi tecnici e organizzativi del consorzio.

I primi problemi Il ‘vento’, secondo i legali, inizia a cambiare dopo il marzo del 2012 con la nomina della direttrice unica dell’ente consortile. Il primo ‘scontro’ riguarda l’affidamento diretto di alcuni lavori e l’esecuzione di gare d’appalto ‘informali’ riservate ad aziende invitate dal consorzio Tevere-Nera. E sono proprio le perplessità espresse dal dipendente in merito alle procedure a costargli, secondo la sua ricostruzione, una decisa ostilità da parte di chi fino a quel momento gli aveva riservato soltanto lodi ed encomi.

Computer negato La sua discesa inizia da lì, da quel tasto ‘dolente’ che una volta toccato gli porta solo grane: incarichi revocati, un primo malore dovuto alla situazione di stress e di isolamento, l’impossibilità di portare a compimento il proprio lavoro come vorrebbe. E in questo senso è significativo, secondo i legali che lo assistono, l’episodio in cui il 49enne, viene costretto a lavorare con il computer più vecchio a disposizione dell’ente, senza possibilità di poterlo sostituire – le richieste vengono puntualmente respinte – così da potergli contestare eventuali inefficienze e carenze.

‘Niet’ e altri guai La tensione esplode quando il lavoratore, che occupa anche un ruolo sindacale nella segreteria nazionale della Filbi-Uil, viene interpellato dai vertici dell’ente insieme agli altri rappresentanti sindacali aziendali per esprimersi sul cambio di mansioni – da operaio a impiegato – di un lavoratore. Anche in quell’occasione l’uomo esprime tutta una serie di dubbi sulla trasparenza dell’operazione e, secondo quanto riportato nel ricorso, viene ‘ripagato’ con la revoca dei permessi sindacali e un procedimento disciplinare legato ad un diverbio con la direttrice.

Un cantiere discusso Ma la goccia che fa traboccare il vaso gli deriva dal suo ruolo di direttore dei lavori e responsabile della sicurezza in vari appalti dell’ente. Nel febbraio 2014 il dipendente riscontra la presenza di tre lavoratori irregolari (su cinque) all’interno di un cantiere affidato a Terni dal consorzio. Ne segue un doveroso ordine di servizio che, secondo la ricostruzione, finisce per costargli solo altri guai con la dirigenza. A partire dalla rimozione da tutti gli incarichi e l’assegnazione ad un altro settore, in un clima definito ‘di crescente isolamento e frustrazione’.

La malattia Nel frattempo, è il marzo del 2014, gli viene recapitata anche la sanzione disciplinare per la lite con la direttrice e il dipendente finisce in ospedale per un altro malore, più grave del precedente, che lo tiene lontano dal lavoro per oltre due mesi. Al ritorno trova ad attenderlo un provvedimento di trasferimento. Prova a ‘ripartire’ nonostante tutto ma stress e depressione si fanno sentire. Fino a quando scopre di non avere una grave malattia.

L’ultimo ‘sgarbo’ Dopo alcuni mesi la difficile battaglia contro il male sembra volgere per il verso giusto. Al termine delle cure, è l’ottobre del 2014, decide di mettersi tutto alle spalle e tornare al lavoro. Chiede, viste le condizioni di salute ancora precarie, di poter svolgere il proprio compito da casa attraverso il ‘telelavoro’. Niente da fare, deve tornare in ufficio anche se, secondo gli avvocati che lo assistono, la sua postazione è di fatto smobilitata e lui non ha più mansioni chiare né strumenti per poterle svolgere. Nel settembre del 2015, dopo un ‘boom’ sospetto di iscrizioni dei lavoratori del consorzio al sindacato di cui il 49enne fa parte, viene convocata un’assemblea sindacale – a cui lui non può partecipare – che lo estromette anche dalla Rsa.

La denuncia È a quel punto che – sulla base di riscontri medici di parte che gli assegnano un’invalidità del 25% – decide di rivolgersi al giudice per vedere riconosciute le proprie ragioni e avvia una procedura di invalidità per causa di lavoro di fronte all’Enpaia (l’Inps del settore agricolo). Tutto finito? Niente per sogno. Le richieste di documenti inoltrate al consorzio Tevere-Nera per far andare avanti la pratica di ‘sinistro professionale’, secondo i legali che lo assistono, cadono nel vuoto. L’Enpaia nega a sua volta nega la procedura e a quel punto scatta la denuncia penale. Il resto della storia, ormai di competenza dei tribunali, è ancora tutto da scrivere.

Condividi questo articolo su
Condividi questo articolo su

Ultimi 30 articoli