Caso UmbriaUno: «L’Asu non coinvolta»

Marta Cicci, presidente dell’Associazione Stampa Umbria: «Nessuno dei giornalisti si è affidato a noi dandoci mandato di rappresentarlo nelle vertenze »

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di Marta Cicci
Presidente dell’Associazione Stampa Umbria

Essendo stata chiamata in causa l’Associazione stampa umbra sulla vicenda di Teleterni/Umbriauno voglio, come presidente, fare chiarezza perché ci sia una corretta informazione: nessuno dei giornalisti – i tecnici e gli amministrativi non sono di nostra competenza – si è affidato all’Associazione stampa Umbra dandoci mandato di rappresentarlo nelle vertenze nonostante le nostre sollecitazioni (i carteggi sono documentabili attraverso mail, sms e conversazioni whatsapp).

Già nella fase del passaggio di proprietà da Garofoli a Torino, a più riprese e reiteratamente, più di un collega – nessuno iscritto – si è rivolto all’Associazione per avere consigli. Consigli puntualmente dati e disattesi, a cominciare da quelli di non sottoscrivere lettere per mettere una pietra tombale sul pregresso con la vecchia proprietà e, successivamente, di impugnare i licenziamenti con il nuovo editore, licenziamenti che, come abbiamo sottolineato ai colleghi, sono viziati da una scorretta procedura e quindi illegittimi.

I colleghi invece hanno chiesto esplicitamente all’Associazione di non intervenire nella trattativa, né di uscire pubblicamente con comunicati stampa – nonostante che la vicenda fosse già pubblica grazie ad un ordine del giorno presentato in Consiglio Comunale a Terni – perché convinti che ciò “gli avrebbe creato problemi” ??? – affermazioni nuovamente documentabili.

I giornalisti hanno quindi proceduto singolarmente alla conciliazione con l’azienda (cosa da noi sconsigliata perché non avrebbero visto un euro, come puntualmente accaduto), con accordi capestro in cui hanno dilazionato di anni quanto loro dovuto per legge nel giro di una settimana e, sostanzialmente, nulli, perché sottoscritti in Confindustria (che a questo punto dovrebbe farsi garante del rispetto degli accordi firmati tra le parti nella sua sede) alla presenza non di un rappresentante dell’Asu, come prevede la legge, ma di altra organizzazione sindacale.

Non si è trattato dunque di silenzio, come affermato nel vostro articolo, ma di una vicenda per certi versi simile ad altre realtà editoriali dove – purtroppo – i colleghi pensano di subire meno tenendo fuori il sindacato e mettendo la sordina ai soprusi.

Quindi nell’ambito di quella “chat” in cui sono intervenuta personalmente, da voi citata, non sono “volati stracci” fra il sindacato ed i suoi iscritti, penso infatti che quasi nessuno di quegli interlocutori/ci sia iscritto, ma c’è stato un confronto franco in cui ho spiegato senza peli sulla lingua quello che qui ho ribadito. L’Asu non si impone a nessuno e non vuole che gli vengano affibbiate colpe o inefficienze che non ha.

E’ evidente che il sindacato non ha la bacchetta magica per risolvere tutte le vertenze o la forza per salvare tutti i posti di lavoro: esistono leggi della Repubblica Italiana che consentono agli editori di licenziare, ma il nostro impegno non è mai mancato e qualche buon risultato lo abbiamo ottenuto, come ci riconoscono tanti colleghi. Possiamo fare ancora di più e meglio, forse sì, ma non potremo mai fare niente se per primo chi subisce soprusi o vive il dramma della perdita del posto di lavoro non si fida del sindacato e non combatte per difendere quello che ha apertamente, alla luce del sole, denunciando quanto accade, senza paura.

Una collega mi ha detto “facile parlare quando non ci si trova nelle situazioni”, vero ! ma ci sono forse alternative che hanno dimostrato di essere migliori? Se c’è silenzio su quanto accade in Umbria, sulla crisi devastante e non ancora finita che ha investito tutto il settore dell’editoria in entrambe le province, spesso ciò è dovuto proprio al comportamento di chi fa informazione.

Molte testate infatti preferiscono non dare notizia di quanto accade nelle aziende editoriali della regione. I giornalisti di queste testate preferiscono non fare il lavoro per cui sono pagati, perché è certamente una notizia se una redazione chiude i battenti o manda i dipendenti in cassa integrazione, o no?

Per concludere, voglio dire chiaramente che finché sarò in carica non consentirò a nessuno di tirare l’Assostampa umbra per la giacchetta e di gettare la benché minima ombra su un operato che è sempre stato tempestivo, trasparente, corretto e rispettoso dei colleghi.

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