Elezioni e ‘zoccoli duri’: è ufficiale, sono spariti

Chi sta nei palazzi può davvero continuare a svolgere le ‘solite pratiche’ ed uscire solo quando è l’ora di andare a casa? – Il corsivo di Walter Patalocco

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di Walter Patalocco

Le avranno sentite a Palazzo Spada le campane? Qualcuno saprà imparare qualcosa dalle elezioni 2016? Se ne sono accorti che non esistono più zoccoli duri e che se ci sono, comunque, non sono sufficienti?

E’ ora che le porte si aprano nei palazzi in cui si governa, non solo a Terni, ma anche nel resto dell’Umbria (e, volendo, anche oltre), a cominciare dai palazzi Cesaroni e Donini, sedi della Regione Umbria. Porte aperte non solo e non tanto per far entrare, ma per uscire, vedere coi propri occhi, sentire con le proprie orecchie, ascoltare, cogliere i segnali che vengono dalla società. Non c’è bisogno di andare fino a Torino, Roma o Napoli. Basta fare un salto a Amelia.

Gli elettori e i cittadini (i dati di affluenza alle urne rivelano che le due ‘categorie’ non coincidono più) continuano ad aspettare risposte. Le elezioni in questi ultimi anni hanno detto che la gente non è soddisfatta, che quelle risposte siano magari semplici, ma rapide.

E’ chiedere tanto se si vuole una città pulita, con una raccolta rifiuti efficiente? E’ chiedere tanto volere città ordinate, non in balia di un traffico e soprattutto una sosta sempre più selvaggi? O servizi più efficienti, strade dignitose, condizioni che rendano rispettati alcuni diritti, almeno i più importanti: dall’istruzione, alla salute.

In fondo è questo che ci si aspetta dai governi locali, insieme ad un paio di altre cosette: l’efficienza e l’onestà. La replica, spesso, è che c’è da parte di ogni singolo cittadino una qualche correità. Ma ognuno si sente autorizzato ad arrangiarsi, a pensare solo a sé stesso, compiendo senza rendersene conto un passo indietro dalla civiltà.

Atteggiamenti interpretati come ‘diritto alla difesa’, nati soprattutto dalla disillusione di chi ha cercato di reagire affidando le proprie speranze alle novità, a qualcosa di diverso reclamato a gran voce. E’ successo dai tempi del rifiuto del sistema dei partiti. Troppo in fretta certe indicazioni elettorali sono state considerate semplice frutto della protesta, dello scontento.

A volte si è addirittura cercato di cogliere alcuni aspetti di quelle proteste inglobandoli per provare a governarli: il federalismo, il liberalismo, il centrismo, gli estremismi, l’intolleranza, la xenofobia. Forse nessuno di essi, da solo, era realmente la causa principale della protesta, seppure come tale sia stato individuato, nella sua semplicità e immediatezza, da quella parte della società che si sente discriminata, emarginata, dimenticata, non tutelata.

L’ultima novità italiana, un movimento nato come atto liberatorio e ribelle concretizzatosi all’inizio nelle parolacce e negli insulti di un leader ‘plebeo’, si è via via arricchita di altre sensibilità, di altre capacità che hanno consentito di andare oltre quegli inizi. Alle parolacce si è aggiunta, fino a sostituirle, una capacità di valutazione più articolata della realtà, che non può che sfociare in proposte magari non condivisibili, ma non da sottovalutare.

Un personale politico, in origine avventizio e totalmente sprovveduto, armato solo di decisione, s’è potenziato grazie ad elementi che mantenendo quella decisione hanno portato una capacità diversa di elaborazione. La quale trova sostanza nelle ‘grida di dolore’ di chi a torto o a ragione si considera cittadino dimenticato o tradito e perciò in diritto di far sentire la propria voce, di dar sfogo alla propria rabbia. Tutto ciò agita quelle campane fino a farne oscillare il batocchio.

Chi sta nei palazzi può davvero continuare a svolgere le ‘solite pratiche’ ed uscire solo quando è l’ora di andare a casa?

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