Geotermia, nuove voci contro l’impianto

Terni, non acennano a placarsi le polemiche sulla possibile realizzazione della struttura a Castel Giorgio

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Come era prevedibile, le esternazioni fatte da Diego Righini, della Itw Lkw, la società interessata a realizzare il progetto pilota di un impianto geotermico sulla piana dell’Alfina, con una lettera indirizzata a Il Sole 24 Ore, non sono passate inosservate.

La politica Mentre in sede istituzionale, la seconda commissione, si continua a ricercare una soluzione unitaria che impegni sostanzialmente la giunta a trovare un accordo condiviso tra istituzioni, cittadini e la società proponente, dalla Lega Nord reagisce, duramente, all’atteggiamento pubblico tenuto dal manager dell’azienda. In riferimento ai ritardi burocratici nel rilascio delle autorizzazioni che, secondo Diego Righini, sarebbero stati superati qualora si fosse ricorso a tangenti, per il consigliere regionale Fiorini «forse questo è il modo con cui Righini si è trovato ad avere a che fare, ma sicuramente non è il nostro modo di lavorare. Vogliamo ricordare – scrive in una nota il consigliere – che se l’iter di approvazione di studio della materia è lungo, è solo per garantire la tutela dei cittadini dei territori interessati, considerando, tra l’altro, che tutti i sindaci dei paesi dell’orvietano hanno espresso parere contrario».

L’associazione E a scagliarsi contro la lettera è anche il presidente dell’associazione ‘Lago di Bolsena’, Piero Bruni, capofila delle associazioni ambientaliste del lago, che ha inviato una missiva al Ministero dello sviluppo economico, ai presidenti della regione Umbria e Lazio e ai procuratori della Repubblica di Roma e Terni: «Prendiamo per buona – si legge nella missiva – l’affermazione contenuta nella lettera pubblicata da Il Sole 24 Ore nella quale il consigliere della Itw&Lkw Geotermia Italia afferma che non ha mai pagato tangenti o elargito bustarelle», Bruni ripercorre la storia dell’azienda e ricorda che «la società proponente ha un socio unico di diritto austriaco. E’ stata fondata con capitale di 200.000 euro. Il consiglio di amministrazione ha 5 membri, in maggioranza commercialisti. Il signor Diego Righini è il consigliere espressamente delegato dalla società per le relazioni pubbliche e per contrastare i detrattori del progetto».

I dubbi Alla data del rilascio della concessione sull’Alfina da parte del Cirm, insiste Bruni, «la società aveva un capitale versato di 200.000 euro, cifra superiore al minimo previsto dalla normativa per l’apertura di una filiale in Italia, ma la casa madre non è una qualificata industria estera del settore, bensì una società di intermediazione finanziaria austriaca a responsabilità limitata. La Società italiana non ha mai fatto un lavoro di qualsiasi natura e neppure il socio unico. Quindi la Società alla data della prima concessione del Cirm non aveva e tuttora non ha alcuna competenza tecnica».

I rischi L’associazione, dice ancora Bruni, «i sindaci del comprensorio di Castel Giorgio e la popolazione si oppongono alla realizzazione del progetto perché prevede di estrarre in Umbria da sotto in bacino idrogeologico del Tevere 1000 tonnellate l’ora di fluido geotermico, per reiniettarlo sotto il bacino idrogeologico del lago di Bolsena mettendo a rischio di inquinamento da arsenico il sovrastante acquifero che alimenta la rete potabile del viterbese, oltre a mettere a rischio di inquinamento anche Sito di interesse comunitario e Zona speciale di conservazione, lago di Bolsena. Nel Comune di Acquapendente il proponente ha ubicato la centrale proprio all’interno dì una zona protetta ed anche in questo caso si verifica il rischio di inquinamento della falda acquifera che alimenta la rete potabile dell’orvietano».

Le domande Ci si chiede, dice ancora il presidente dell’associazione ‘Lago di Bolsena’, «chi potrebbe avere organizzato e finanziato i 3,5 milioni di euro fin qui spesi per l’avviamento e chi finanzierà i 50 milioni di euro per realizzare gli impianti. Se esiste un finanziatore, dovrebbe rendere palese la propria identità altrimenti le autorizzazioni sarebbero rilasciate al buio senza sapere chi sarà poi l’effettivo responsabile. Circostanza rilevante: le azioni sono di proprietà austriaca e quindi per 25 anni gli utili, dovuti principalmente agli incentivi italiani, finirebbero all’estero». E conclude chiedendo «che venga revocata alla Società proponente la concessione e tutte le conseguenti successive autorizzazioni».

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