L’Ast è meglio dell’Ilva, ma il governo lo sa?

L’acciaio di cui le industrie manifatturiere italiane sono affamate non è quello comune (dell’Ilva), ma quello inossidabile di Terni – Il corsivo di Walter Patalocco

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di Walter Patalocco

Quando parlano dell’acciaio italiano, quelli del governo, intendono una sola cosa: l’acciaio dell’Ilva, quello che si fa a Taranto. Almeno così pare a sentire e leggere le loro esternazioni.

Merito – si fa per dire – dei grandi problemi che attorno all’Ilva sono giunti alla ribalta e su cui chi fa informazione, andando a nozze col clamore s’è buttato a pesce dimenticando troppo spesso tutto il resto. Cosicché in una società che si informa per mezzo dei tweet quel che resta in mente è la notizia che s’infila rapida e veloce come la lama di un kriss malese.

Un ragionamento semplicistico, se si vuole, ma che suggerisce alcuni comportamenti e qualche considerazione. La prima riguarda la situazione europea: c’è chi invoca strumenti normativi di stampo protezionistico, su cui sarebbe disposto a scendere a patti, ma si resta ferrei sugli interventi di Stato proibiti in nome della difesa di un libera concorrenza, di un liberismo pieno, di un mercato regolato solo alla concorrenza. Come se non fosse una contraddizione il solo pensare nello stesso momento ad un mercato libero e ad interventi protezionistici.

La “fantasia” può suggerire decisioni border line che alla fine potrebbero anche consentire un’eccezione. Bene, se questo accadesse per l’Italia e se fosse per il settore siderurgico, si correrebbe in soccorso dell’Ilva (così come d’altra parte sta già accadendo in qualche modo).

C’è nessuno che vuol provare a far sentire la voce di Terni? C’è qualcuno che fermamente sia disposto a spiegare che l’acciaio di cui le industrie manifatturiere italiane sono affamate non è l’acciaio comune (dell’Ilva), ma quello inossidabile di Terni?

Nessuno pensa a ricordare alla ThyssenKrupp che lo stabilimento che a suo tempo comprò per un tozzo di pane non è solo suo perché c’è una comunità che lo ha difeso, l’ha fatto crescere, l’ha mantenuto subendo dure ed amare conseguenze per più di cent’anni?

In sostanza c’è nessuno che, se fosse necessario, è pronto a battere i pugni sul tavolone di Palazzo Chigi?

 

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