Macroregione, purché non sia solo cachemire

Giovedì il sindacato umbro organizza un dibattito con tre presidenti di Regione, ma quello del Lazio non è stato chiamato. Peccato – Il corsivo di Walter Patalocco

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di Walter Patalocco

Il sindacato umbro pensa al futuro. E discute, perché alle maxi regioni o aree vaste (chiamiamole come ci pare) prima o dopo ci si arriverà. Anzi, “Cgil, Cisl e Uil tornano a stimolare il dibattito e la riflessione intorno al tema dell’Italia di mezzo”. E così “i tre sindacati di Marche, Toscana e Umbria organizzano un dibattito pubblico al quale parteciperanno i tre presidenti di Regione, Luca Ceriscioli, Enrico Rossi e Catiuscia Marini” (giovedì 15 settembre a Perugia). C’è anche lo slogan: “Rafforzare le omogeneità e rendere vantaggiose le differenze per cogliere una straordinaria opportunità di sviluppo sociale ed economico”.

Sindacati e presidenti delle regioni dell’Italia di mezzo. La quale è composta da Umbria, Marche e Toscana. Non il Lazio, a quanto pare. Non è interessata l’Umbria ad un rapporto stretto e costruttivo con il reatino e il viterbese con cui confina? E nemmeno col bacino di Roma capitale? Eppure, quando si accenna a Roma si parla non solo di una ampia area d’utenza, ma anche di una ‘familiarità’ tra l’Umbria del sud e la capitale che è luogo di studio e lavoro di molti residenti nel sud dell’Umbria, a partire da Terni e continuando con Narni, Orvieto, Amelia e i centri minori per continuare con la stessa Spoleto. Anche questa, a naso, sembrerebbe un’omogeneità da rafforzare. Anche perché c’è già un’interdipendenza su fronti economici e dei servizi.

Non ha un valore secondario, per esempio, l’interesse con cui guardano all’azienda ospedaliera ternana molti residenti proprio dei territori provinciali di Viterbo e Rieti. Un interesse che si traduce in un afflusso considerevole verso le strutture sanitarie ternane con apporto di risorse economiche a vantaggio del sistema umbro. Quelle stesse strutture ternane che continuano a mantenere il loro prestigio, nonostante proprio in Umbria siano continuamente, e chissà perché, nel mirino della polemica.

Basterebbe già questo a far ritenere del tutto prive di logica certe ‘dimenticanze’ nei confronti del Lazio. Ma c’è di più. Il bacino industriale ternano continua ad essere fonte economica di ricchezza per tutta l’Umbria, e non solo grazie alla sua principale produzione (la metallurgia) che è tra quelle in maggior crescita al momento in Italia. Per l’industria ternana il rapporto con il bacino industriale romano (il più vasto in Italia checché se ne pensi) è occasione di crescita, di sbocco, di acquisizione di lavori e di esperienze.

Opportunità che hanno bisogno di rapporti politici e, soprattutto, di infrastrutture, in parte esistenti, ma che dal sud dell’Umbria vengono richieste a gran voce da decenni. La Terni–Rieti, strada di cui si ravvisava l’esigenza già settant’anni fa, e nata (e non ancora terminata) per un intervento deciso dell’allora Ministro dei lavori pubblici, Enrico Micheli. Ma l’idea di una bretella tra le zone industriali ternane e il bacino industriale di Roma fu bocciata, nonostante ci fosse chi si dichiarava pronto ad assumersi gli oneri della costruzione.

Il collegamento con Civitavecchia, e quindi il porto ed il mare via di comunicazione essenziale per il trasporto di materie prime e merci finite, è rimasto monco nella sua versione stradale ed è assolutamente da potenziare nella versione per ferrovia. Tutte questioni che legano l’Umbria al Lazio. Possibile che siano i protagonisti di tante battaglie per l’occupazione e l’economia umbra a dimenticarsene? Non si vive di solo cachemire.

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