Omicidio Raggi: i troppi ‘buchi’ del sistema

Sei anni e otto mesi: questo il cumulo delle pene che l’omicida di David Raggi aveva già maturato in Italia

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di Fabio Toni

I ‘buchi neri’ – più di uno – del sistema giudiziario, amministrativo e istituzionale, gli stessi già messi in luce dal gip Maurizio Santoloci, hanno consentito ad Amine Aassoul di fare ciò che ha fatto. La tragica sera del 13 marzo a Terni, quando ha ucciso David Raggi con un fendente alla gola in piazza dell’Olmo, il 29enne non doveva essere in Italia. «Non poteva stare qui, ma anche ammettendo che avesse i requisiti per poter restare nel nostro Paese, doveva essere già in carcere da tempo».

Le carte ‘parlano’ Così l’avvocato Massimo Proietti, alla luce delle carte giunte a tempo di record dal tribunale di Caltanissetta e del cumulo delle pene – pari a sei anni e otto mesi di carcere – eseguito in questi giorni nel carcere di Spoleto dove l’uomo si trova detenuto. Due facce della stessa medaglia su cui il legale, nominato dai familiari di David Raggi, ha voluto vederci chiaro. Con esiti a dir poco sconcertanti.

VIDEO: PARLA L’AVVOCATO PROIETTI

La storia Espulso nel 2007, dopo aver commesso vari reati, Amine Aassoul ritorna in Italia nel maggio del 2014 su uno dei tanti barconi di profughi arrivati in quel periodo a Lampedusa. All’inizio per non farsi riconoscere usa un nome fittizio – quello di ‘Aziz’ – e le ‘carte’ le scopre solo il 15 settembre, quando con la sua vera identità chiede alla commissione territoriale di Siracusa di accettare la sua domanda di asilo. L’istanza viene rigettata lo stesso giorno e due mesi dopo, il 21 novembre, Amine Aassoul – assistito nell’iter da un legale attraverso il ‘gratuito patrocinio’ – presenta ricorso e contestualmente chiede la sospensione della decisione presa dalla commissione. Sei giorni dopo, il 27 novembre, la sezione civile del tribunale di Caltanissetta fissa per il 13 gennaio 2015 la discussione del ricorso nel merito e – cosa più importante – respinge la richiesta di sospensione.

‘Clandestino’ «Questo dimostra che la sospensione non era automatica e che, dal 28 novebre 2014, Amine Aassoul non aveva più diritto di stare nel nostro Paese». L’avvocato Proietti non usa la parola ‘clandestino’, ma il dubbio, forte, resta. «Sicuramente – spiega il legale – si dirà che Aassoul non poteva essere espulso in quanto convivente con la madre a Terni, ma a suo tempo la stessa commissione territoriale di Siracusa, pur avendo valutato questo aspetto, non aveva ritenuto di concedere la protezione internazionale».

I tempi della giustizia Ironia della sorte, l’udienza che dovrà decidere se il ricorso presentato da Amine Aassoul contro il ‘mancato asilo’ verrà discusso il prossimo 21 aprile davanti al tribunale civile di Caltanissetta. Una data a cui ci si è arrivati rinvio dopo rinvio: dal 13 gennaio 2015, prima udienza di merito, si era passati a quella del 3 febbraio per un errore nell’iscrizione al ruolo. Poi, il 3 febbraio, l’avvocato dell’uomo aveva chiesto i termini a difesa per il deposito di alcune note, con il giudice che aveva rinviato tutto al 31 aprile. Ma non solo.

«Doveva stare in carcere» L’altro aspetto cruciale è che Amine Aassoul, pur ammettendo che la sua presenza in Italia fosse legittima, doveva stare in carcere. Un fatto che l’avvocato Proietti ha approfondito direttamente con la procura della Repubblica di Fermo. «Il 16 gennaio del 2014 – spiega il legale – la procura ha emesso un provvedimento di cumulo delle pene pari a due anni e sei mesi di reclusione. In questi giorni ad Amine Aassoul è stato notificato un mandato di cattura per un totale di sei anni e otto mesi di carcere. Tutto ciò perché, giustamente, non gli è stata riconosciuta la sospensione delle pene successive. Ma tutto ciò sarebbe dovuto avvenire molto prima. Amine Aassoul doveva stare in carcere da tempo. Lo stesso gip Santoloci, nell’ordinanza di convalida, si era meravigliato di come quest’uomo fosse ancora libero nonostante una serie di condanne definitive da eseguire. Aassoul ha soltanto approfittato dei tanti ‘buchi neri’ del nostro sistema e ha potuto girare e agire indisturbato, senza che nessuno gli chiedesse conto per quanto già commesso. Eppure dopo la domanda di asilo presentata con il suo vero nome, non sarebbe stato complicato cercarlo, rintracciarlo sul territorio per dare seguito alle tante condanne definitive a suo carico».

Magra consolazione, ma che nelle more del riesame assume un significato importante, Amine Aassoul, dopo la notifica dei sei anni e otto mesi complessivi da scontare, resterà in carcere a prescindere dall’esito di eventuali istanze presentate dal suo difensore, al tribunale della libertà o al gip di Terni. Anche nel caso (improbabile) in cui dovessero essere concesse misure meno afflittive del carcere, ad esempio gli arresti domiciliari, Aassoul resterà comunque in cella.

«Quadro sconcertante» Alla fine la domanda è una: come è potuto accadere tutto ciò? Esistono colpe e responsabilità oppure dalla burocrazia italica bisogna attendersi anche questo? «Il dato di fatto è che se Amine Aassoul non avesse ucciso David – afferma l’avvocato Proietti – oggi sarebbe ancora libero di circolare. Se ci siano colpe precise da parte di qualcuno, è presto per dirlo. Di sicuro dall’esame di questa vicenda emerge un quadro sconcertante, fatto di apparati che non comunicano fra di loro, di strutture che non vanno un centimetro più in là del compito che gli spetta, disfunzioni innegabili dovute non alle norme, che ci sono, ma alla loro applicazione». In tutto ciò i familiari di David Raggi «hanno preso atto con la consueta grande dignità e compostezza, di una situazione che appare sconcertante anche a loro. E giustamente si attendono una risposta chiara da chi deve darla».

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