«A Terni abbiamo ritrovato la speranza»

Festa alla Caritas per la Giornata del rifugiato, le storie dei 200 migranti fuggiti da guerre e povertà. «Qui un futuro migliore è possibile, ma non disciminateci»

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di F.L.

Un pasto multietnico, una sfilata di costumi tipici, musica e qualche passo di danza: Caritas diocesana e associazione di volontariato San Martino hanno celebrato così, con un evento che venerdì sera si è tenuto alla mensa San Valentino di Terni, la Giornata mondiale del rifugiato. Un’iniziativa – alla quale ha preso parte anche il vescovo Giuseppe Piemontese – organizzata per condividere qualche momento di festa e confronto con migranti e rifugiati ospiti nelle strutture accoglienza e nell’ambito del progetto ‘Corridoi umanitari’.

Non solo numeri Uomini, donne e tanti bambini con passati difficile alle spalle – chi per motivi economici, chi politici o religiosi -, arrivati in Italia alla ricerca di un futuro diverso, ma mai come oggi al centro dell’attualità e del dibattito. Anche in una città come Terni che – vedi il bagno di folla di giovedì sera per Matteo Salvini – si è riscoperta a forte trazione leghista. «A Terni – spiega Francesco Venturini, presidente della San Martino – sono oltre 200 i migranti attualmente ospitati nell’ambito dei progetti Sprar ed Emergenza sbarchi, poco meno di 700 in tutta la provincia. Il flusso ha rallentato, ma alcuni arrivi ci sono stati anche una ventina di giorni fa, quando quattro persone sono state accolte in una struttura di Lugnano in Teverina».

IL RACCONTO DI DIALLO, VIDEO

Dall’Africa Nigeria, Gambia, Guinea, Ghana, Eritrea, Somalia, i Paesi dai quali provengono la maggior parte dei migranti, non solo rifugiati politici, ma anche e soprattutto economici, spinti in Europa dalla fame. Emblematica ed intensa la storia di Birikti, 34enne dell’Eritrea da febbraio è ospite di un appartamento di Sambucetole, ad Amelia, con i due figli e la nipote, tutti tra i sette e i 15 anni. «Dopo essere rimasta vedova – racconta – ho dovuto badare da sola a tre bambini, tra cui la figlia di mia sorella, anche lei morta. Una situazione economica molto problematica, a cui si sono aggiunti dei problemi di salute, così ho deciso di andare in Etiopia, dove sono rimasta un anno, in un campo profughi, prima di arrivare in Italia grazie ai Corridoi umanitari. Ora qui sto bene, il nostro percorso non è finito, la strada è ancora lunga, ma da quando siamo arrivati abbiamo trovato per la prima volta la speranza di un futuro migliore».

Lo stesso che spera di avere per sé, per sua moglie Maria e per la figlia Rugui, anche Diallo, un 30enne della Guinea a Terni da un anno e mezzo. «Le nostre famiglie si rifiutavano di farci sposare – spiega in un buon italiano -, abbiamo discusso per mesi con i nostri genitori, fino a che Maria non è rimasta incinta. A quel punto siamo stati costretti a fuggire, visto che nel nostro Paese non sono ammessi rapporti prima del matrimonio. Anche se tornassi ora verrei denunciato. Dalla Guinea siamo passati allora in Mali, poi da lì in Niger e in Libia, dove siamo stati imprigionati per due settimane ma siamo riusciti a fuggire. Mio fratello mi ha mandato dei soldi, con quelli ci siamo imbarcati verso l’Italia, dove siamo arrivati dopo tre giorni di viaggio. L’ho fatto perché il mio desiderio era riuscire a vivere liberamente con la mia famiglia, a costo di morire in acqua. Per fortuna siamo stati accolti, lei ha partorito ad Orvieto ed ora siamo davvero felici di essere qui, vogliamo solo integrarci e vivere normalmente, senza discriminazioni».

Sopprusi e omicidi Storie al limite come altre raccontate da Martina Tessicini, coordinatrice del progetto Emergenza sbarchi. «C’è ad esempio un veterinario che, in Eritrea, è stato imprigionato per un anno, completamente al buio, solo per non essere riuscito ad evitare che il branco di bestiame di cui si occupava non si ammalasse. O chi, come una donna somala, poco dopo aver partorito una bambina ha assistito all’assassinio di suo fratello dovuto a motivi politici, salvandosi lei stessa in extremis dopo essere rimasta ferita a colpi di proiettile».

Buongiorno negati Persone che in Italia hanno finalmente trovato, almeno momentaneamente, la tranquillità e l’aiuto dei tanti operatori e volontari, ma che comunque devono fare i conti con le diffidenze, che non mancano. «Ma come mai per strada la gente non risponde al mio saluto?» , ad esempio, si è sentita chiedere da un giovane migrante Tissicini. «Il saluto negato è la prima forma di razzismo» dice lei, tenendo anche a «sfatare il falso mito dei 35 euro a migrante, che in realtà non vanno nelle loro mani, ma servono a pagare vitto e alloggio, vestiti e servizi». «Qualcosa nella percezione sta cambiando e migliorando, anche se non è automatico e semplice» aggiunge anche padre Manuel, pastore pentecostale nigeriano che ad Amelia ha organizzato degli incontri nelle scuole tra studenti e rifugiati.

Timori e speranze «Spero che a livello nazionale non vengano prese decisioni che possano danneggiare noi immigrati, ce ne sono tanti senza soldi e documenti» sottolinea ancora, un po’ preoccupato, Diallo. «Queste persone – commenta Venturini – non sono né un problema né un allarme sociale, ma una risorsa. A Terni non hanno mai creato problemi di ordine pubblico, possiamo stare tranquilli e sereni. Ci sono vari gruppi, ad esempio, che si dedicano alla pulizia dei beni pubblici della città grazie alle convenzioni stipulate con prefettura e amministrazione comunale. Noi non siamo comunque preoccupati per il futuro, siamo anche noi per il rispetto delle regole e crediamo che tutta Europa debba farsi carico del problema dei migranti. Confidiamo piuttosto sul fatto che, a Terni come a livello nazionale, prevarrà il buon senso».

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