Acque minerali d’Italia, Sangemini ‘annega’?

Terni, i Pessina accelerano sul progetto di gruppo unico, ma sullo stabilimento di San Gemini gli investimenti sono ridotti all’osso e la cassa integrazione continua

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di M.T.

Il progetto di fare un «grande gruppo, il quarto del Paese», ai sindacati glielo avrebbero illustrato. Ma sui dettagli e, soprattutto, su che fine farà Sangemini quando ‘Acque minerali d’Italia’ sarà completamente operativo – con l’accentramento delle funzioni a Milano – i Pessina sarebbero rimasti un po’ sul vago.

Gli investimenti Come nessuna notizia si ha sulle reali intenzioni relative agli investimenti che i proprietari dello stabilimento hanno – o non hanno – intenzione di fare. Al momento si sarebbe fermi alle due macchine ‘soffiatrici’ per la realizzazione delle bottiglie di plastica, mentre della linea per la produzione di quelle in vetro non ci sono tracce.

Il sindacato «Noi – dice Marcello Rellini, delegato aziendale della Fai Cisl – dobbiamo e vogliamo essere fiduciosi. La proprietà  ci ha offerto rassicurazioni importanti e, anche se siamo certi che dovremo tenere sempre la guardia alta, credo che ci siano ampi spazi di crescita per uno stabilimento che viene definito strategico dal gruppo».

La produzione Mentre dei 250 milioni di ‘pezzi’ (in gergo sono le bottiglie) previsti, nel 2016 dallo stabilimento di San Gemini non ne sarebbero usciti più di 140, anche perché l’operazione ‘Giubileo’ non ha portato i risultati previsti e nella capitale di acqua minerale umbra non è che ne giri poi tanta. Soprattutto di quella a marchio Fabia, Grazia e Amerino. Mentre a sud il gruppo punta forte su Gaudianello e a nord ovviamente su Norda.

L’area di crisi Poi c’è la delusione rappresentata dal fatto che tra le aziende che hanno presentato progetti relativi all’Area di crisi complessa, Sangemini non c’è: poteva essere un’opportunità importante, ma – e da qui i dubbi – per avere accesso ai capitali pubblici, era necessario garantirne anche di propri e con progetti credibili. Sangemini non lo ha fatto.

I timori Tanto che è tornata a serpeggiare la paura: sulla sorte del marchio Sangemini, che potrebbe finire ‘annegato’ dentro quello di ‘Acque minerali d’Italia’, sulle reali intenzioni della proprietà (l’ipotesi di cessione in blocco ad un gruppo straniero, dei cinesi si era già parlato), senza dimenticare che le promesse di diversificazione, con l’annuncio di voler affiancare a quella dell’acqua minerale anche la produzione di merendine, non sono mai state mantenute dai Pessina.

Uno sciopero della Sangemini

La cassa integrazione Anche perché i circa 90 addetti fanno cassa integrazione – l’accordo la prevede fino al 2020 – sulla base di una regolamentazione interna che, di fatto, ferma gli impianti per una settimana al mese (non in forma continuativa) e che – questi i conti approssimativi – scarica sul sistema esterno circa 700 mila euro all’anno di costi, facendoli risparmiare alla proprietà.

Le tensioni All’interno dello stabilimento, infatti, qualche tensione sta emergendo: nei giorni scorsi – dopo che erano apparse nelle bacheche aziendali alcune prese di posizione da parte dei sindacalisti di base – il capo del personale è sceso personalmente nei reparti per arringare i lavoratori e chiamarli a fare una scelta di campo precisa: «O siete con me o siete contro di me», è stato il succo del discorso fatto. Quasi una ‘chiamata alle armi’.

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