All’ospedale di Terni urge terapia di gruppo

Accoglie pazienti da tutto il centro Italia. Questione di rinomanza, acquisita con i fatti, l’efficienza, la qualità terapeutica. Ma basta poco a scalfire un’immagine – Il corsivo di Walter Patalocco

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di Walter Patalocco

Non era mai successo che all’ospedale di Terni fosse impossibile usare l’ascensore perché la pulsantiera era sfondata. Eppure l’ascensore serve se non altro per far su e giù alla ricerca di un reparto che mesi addietro era magari al quarto piano, poi è passato al primo ed ora è al quinto. Costerebbe tanto mettere all’entrata un cartello del tipo “voi siete qui” con l’indicazione aggiornata di piani e reparti? Non si chiedono mica indicazione ad ogni angolo di corridoio come accade con “il bar è al primo piano seminterrato”. Questioni secondarie si dirà. Ma se il buongiorno di vede dal mattino…

L’ospedale di Terni è oggetto di una consistente riorganizzazione. Anche perché accoglie pazienti da tutto il centro Italia. Questione di rinomanza, acquisita con i fatti, l’efficienza, la qualità terapeutica. Ma basta poco a scalfire un’immagine. Certi episodi secondari possono essere il segnale di uno zoppicamento più grave.

Per guidare una struttura della complessità dell’ospedale di Terni non basta “l’uomo solo al comando”, il Nembo Kid di turno. Invece proprio questo sembra essere il problema che ha povocato un braccio di ferro tra direttore generale e sindacati dei medici e degli infermieri. Nembo Kid direttore generale lamenta che a bussare alla sua porta siano sempre coloro che vanno a porre e rappresentare problemi. Ma che dovrebbero fare un medico o un infermiere che trovano difficoltà operative? Chiedere aiuto al parroco?

Medici e infermieri invece si lamentano perché le decisioni si prendono e loro si trovano sempre davanti al fatto compiuto e per di più – a loro parere – compiuto “a lisca di pesce”. Se l’ospedale fosse una squadra di calcio, saremmo nella situazione classica dell’allenatore da una parte e i giocatori dall’altra.

Nembo Kid DG e sindacati potrebbero a questo punto seguire un semplice corso di sociologia del lavoro, dove qualcuno spiegherebbe che i risultati migliori si ottengono offrendo collaborazione (i giocatori) sollecitando e promuovendo la partecipazione alle decisioni (l’allenatore).

Da una parte la rappresentazione di problemi e proposte, dall’altra ricerca di atti risolutori. Una discussione franca e aperta senza barriere e con la consapevolezza costante che si discute della salute della gente. Poi, si sa, l’ultima decisione spetta all’allenatore, perché la panchina è sua. Ma solo pro tempore.

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