Ammanchi in Comune, condannata a pagare

Narni, una dipendente dell’ufficio anagrafe dovrà risarcire all’ente oltre 28 mila euro dopo la sentenza della Corte dei conti. Licenziata nel 2013, nel frattempo è stata reintegrata

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Già licenziata in tronco nel 2013, poi reintegrata dal giudice del lavoro e nel frattempo indagata penalmente per peculato, ora dovrà pagare oltre 28 mila euro di risarcimento al Comune di Narni per il presunto danno erariale causato: è questo l’ultimo capitolo della vicenda, a fasi alterne, che vede protagonista una 63enne impiegata presso l’ufficio anagrafe di Narni Scalo, ritenuta responsabile di un ammanco dalle casse dell’ente.

I fatti La donna è stata condannata a pagare la somma – oltre alle spese di giudizio di circa 700 euro – dalla sezione giusdisizionale della Corte dei conti dell’Umbria, presieduta dal giudice Salvatore Nicolella, che ha accolto integralmente la richiesta della procura. La vicenda ha avuto inizio nel settembre 2013, quando i responsabili del servizio anagrafe scoprirono l’ammanco di denaro, relativo alla mancata registrazione dei diritti di segreteria delle carte di identità rilasciate dall’ufficio comunale, dunque non contabilizzate. La cifra inizialmente venuta a galla era di circa 2 mila 600 euro, tutti relativi al 2013, ma successivi controlli svolti dall’ente sugli anni precedenti hanno fatto lievitare la somma a 28 mila euro. Denaro che sarebbe stato sottratto a partire dal 2004, quando la donna – assunta in Comune nel 1975 – era stata appunto assegnata alla delegazione di Narni Scalo dell’ufficio anagrafe.

Il dispositivo della sentenza Nonostante la dipendente comunale – assistita dall’avvocato Valerio Provaroni – abbia negato ogni addebito, secondo il collegio, dall’istruttoria svolta «è emerso in modo inequivoco che i versamenti effettuati dalla convenuta erano caratterizzati da modalità talmente inconsuete e contrarie ai più elementari obblighi a carico dell’agente contabile (trasmissione in buste chiuse anonime dell’elenco delle operazioni effettuate e delle relative entrate), da far presumere con ragionevole certezza che la procedura prescelta fosse dolosamente intesa a coprire l’illecita condotta». A detta degli stessi giudici, inoltre, «non sussistono i presupposti per la riduzione dell’addebito, data la reiterazione delle condotte e il carattere doloso delle stesse, che hanno contraddistinto la vicenda in esame».

Ma c’è il reintegro Eppure la donna – già tra l’altro condannata per un’altra vicenda, relativa a sovvenzioni indebite erogate a soggetti stranieri, al risarcimento in favore del Comune di Narni di 12 mila euro, sentenza confermata in appello – dopo il licenziamento in tronco disposto quattro anni e mezzo fa, nel febbraio 2017 era tornata in servizio: il giudice del lavoro aveva infatti accolto il ricorso del legale dell’impiegata, che aveva impugnato il provvedimento, dichiarando illegittimo il licenziamento e ordinando la sua reintegrazione nel posto di lavoro. Il Comune era stato anche obbligato a corrispondere alla dipendente la retribuzione arretrata dal novembre 2013 fino all’effettivo reintegro, per un ammontare di oltre 97 mila euro. Soldi che ora, almeno in parte, la donna dovrà restituire sulla scorta dell’ultima condanna. Ma è prevedibile che la battaglia legale non finirà qui.

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