Biomasse alla Pieve: arriva ricorso al Tar

Cittadini e Soprintendenza non coinvolti e istruttoria incompleta. «Opera a vantaggio dell’azienda. E il principio di precauzione?»

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Come un copione già letto, fin troppe volte, in Umbria. Ora a rivolgersi alla giustizia amministrativa sono i cittadini che abitano a Città della Pieve e che si sentono minacciati dalle autorizzazioni che le istituzioni locali hanno rilasciato per la realizzazione di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili biomasse in località San Donnino da parte della società Tecnologie ambientali srl.

Ricorso al Tar Da settimane il gruppo ecologista Il riccio, assieme all’associazione di volontariato per l’ambiente Il Ginepro, porta avanti una serrata battaglia perché sono venuti a conoscenza della centrale in maniera inaspettata e la decisione del comune non ha minimamente tenuto in considerazione la volontà dei propri cittadini. Così durante l’ultima assemblea, lunedì 11 dicembre, è stata presa la decisione di fare ricorso al Tar grazie all’interessamento dell’avvocato Valeria Passeri. Oggetto del ricorso l’annullamento, sia per vizi propri che per vizi derivati, della determinazione del comune, firmata in data 18 settembre 2017, avente ad oggetto la procedura abilitativa semplificata per la realizzazione dell’ impianto.

Vantaggi solo per l’azienda «Con un mondo sempre più sottosopra dal punto di vista climatico – hanno spiegato durante la conferenza stampa gli attivisti – ci servono le rinnovabili sostenibili, non quelle che incidono sul clima. Questa centrale dal punto di vista energetico ha un rendimento bassissimo, del 10% rispetto al combustibile impiegato. Il cippato che la alimenterà potrebbe essere usato in agricoltura o per la produzione di energia tramite fermentazione anaerobica, qui invece il calore va perduto almeno in questa prima fase di avvio, perché da progetto dovrebbe riscaldare delle serre del titolare dei terreni che però non risultano ancora costruite. Questo progetto è vantaggioso per l’imprenditore solo grazie agli incentivi per le rinnovabili elargiti dalla Gse, si parla di circa 400mila euro all’anno per impianti del genere, e non essendo previsti gli oneri di compensazione per il territorio dove ricade l’impatto è chiaro che è un progetto conveniente per l’imprenditore. La follia è che in un’Italia dove bruciano parchi nazionali ogni estate, e dove ormai la siccità la fa da padrone, si pensa di deforestare per produrre energia ‘rinnovabile’. Come gruppo ecologista siamo dovuti intervenire».

Violazioni Il ricorso, spiegano i ricorrenti, si basa su alcune violazioni riscontrate nella determina rilasciata dall’amministrazione. «La prima criticità – ha spiegato l’avvocato Valeria Passeri – evidente agli occhi dell’uomo comune, è che in un’area di particolare interesse archeologico, con ben 127 presenze archeologiche e aree indiziate, sia stato autorizzato un progetto di centrale a biomassa senza neppure la preventiva comunicazione alla Soprintendenza Archeologica, come invece prevede la normativa di settore. Non vuol dire nulla che sia un ‘piccolo’ impianto, va comunque informata la Soprintendenza per accertare la sussistenza di procedimenti di tutela ovvero la procedura di accertamento di beni archeologici. In meno di un anno, da un sito individuato come meta turistica per valorizzare la cosiddetta tomba di Laris, ritrovamento unico ed eccezionale, si è passati invece ad autorizzare un impianto a combustione».

L’istruttoria L’avvocato ha anche illustrato come altrettanto eclatante sia la seconda criticità, ovvero la carenza di istruttoria. Nel procedimento di autorizzazione della centrale manca infatti una relazione da parte dell’autorità ambientale regionale Arpa, che si è espressa soltanto sull’elettromagnetismo della cabina elettrica e non è intervenuta minimamente sulla tipologia e provenienza delle biomasse, sul loro stoccaggio e trasporto, sullo smaltimento delle ceneri prodotte, ne invero sulle emissioni inquinanti, dato preoccupante considerato che l’area di approvigionamento dichiarata nel progetto, ovvero l’alveo del fiume Paglia, risulta essere fortemente inquinata da mercurio. 

Principio precauzione Per i ricorrenti, la determina comunale è un mero richiamo di quanto unilateralmente affermato e prodotto da Tecnologie Ambientali s.r.l., e mancano alcuni dati fondamentali che possano sincerare in via definitiva il fatto che il ‘principio di precauzione’ sia stato rispettato in toto nel fornire i permessi al privato costruttore. «Ancora una volta sono i cittadini che hanno dovuto attivarsi e sostituirsi alle istituzioni, anche perché il sindaco di Città della Pieve sostiene di non avere saputo nulla sul progetto prima della richiesta di Pas, la procedura autorizzativa semplificata, da parte dell’imprenditore, ma è difficile credergli perché solitamente gli imprenditori non si muovono se prima non ci sono quanto meno delle garanzie verbali. E la mancanza di informazione preventiva da parte del Sindaco verso la cittadinanza ha portato ad una situazione conflittuale in cui i cittadini si trovano a chiedere un’alternativa a questa industria verde ma non hanno voce in capitolo».

Pubblico e privato Per l’avvocato Passeri «Il Comune dovrebbe porre sulla bilancia quello che il privato propone con quello che il pubblico propone. Qui abbiamo un procedimento amministrativo all’inverso, sbilanciato a favore dell’imprenditore. Quindi come non fare un ricorso al TAR? Al cittadino è permesso e doveroso fare ricorso».

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