‘Celeste sospeso’, Stabile a Capanne

Perugia, in scena lo pettacolo finale del laboratorio di teatro che ha coinvolto sette detenuti dell’istituto penitenziario. Storie di giustizia e umanità

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L.P.

Dove tutto è finto e niente è falso, accade che anche senza un vero palcoscenico si possa riassaporare, di nuovo, anche se per poco, il sapore della libertà.

Gli attori assieme alla regista Vittoria Corallo

Gli attori assieme alla regista Vittoria Corallo

Teatro Stabile E così deve essere stato, mercoledì, al carcere di Capanne di Perugia, dove grazie al laboratorio condotto da Vittoria Corallo e Francesco Bolo Rossini del teatro Stabile dell’Umbria, sette detenuti hanno messo in scena lo spettacolo ‘Il celeste sospeso’, frutto di un anno di intenso lavoro che ha messo insieme fantasia, creatività ma anche vissuti e un linguaggio nuovo, quello che è riuscito a mettere in comunicazione due mondi che non si incrociano mai, quello dei liberi e quello dei reclusi. «E’ stato un anno entusiasmante – ha ricordato l’attrice e regista Vittoria Corallo – oltre che molto impegnativo e che ha fatto superare a ciascuno di noi molti limiti». Tra tutti quello linguistico, dal momento che gli attori sono quasi tutti stranieri e qualcuno non è mai andato a scuola. Vasilev Veselin viene dalla Bulgaria, Mohamed Slim dalla Tunisia come Samir Nasaibi, Abdellaziz Shban, invece, dal Marocco, e poi c’è Visar Didja che viene dall’Albania,mentre Domenico D’Andrea e Luigi Minichini arrivano da Napoli.

Il direttore del carcere Bernardina di Mario

Il direttore del carcere Bernardina di Mario

Il laboratorio Con l’intento di comunicare con il mondo esterno, per un anno i detenuti del carcere, sezione penale, hanno superato le loro paure e i loro limiti, mettendo a nudo la crudezza della loro esistenza. «Non è stato facile – spiega ancora la regista – superare l’ansia del palcoscenico, imparare a padroneggiare una lingua che non è propria e riuscire a condividere la propria storia, il proprio trascorso, le proprie emozioni. Per questo abbiamo inizialmente lavorato molto sull’ascolto, sul fare gruppo e sulla percezione dell’altro». Un’esperienza che ha commosso anche la direttrice del carcere Bernardina di Mario che ha ricordato come sia giusto «dare a tutti le stesse opportunità, ma bisogna ricordarsi sempre che lo stato siamo anche noi e dalla famiglia bisogna ricominciare a costruire tutti quei valori fondamentali, a partire proprio dalla giustizia».

Lo spettacolo Sul palco che, in realtà, occupa l’intera stanza dove, tra il pubblico, ci sono anche gli stessi compagni di cella degli attori, si intrecciano storie personali e domande che restano senza una risposta, partendo da un interrogativo di base: «Siamo nati interi? Giustizia e innocenza sono parti dell’anima che, con gli avvenimenti della vita, rischiano di staccarsi dall’interiorità e così fanno i personaggi che popolano questo mondo». In uno spettacolo che prende le mosse dal concetto di ‘innocenza’ tanto caro al Candido di Voltaire si arriva ad affrontare il rapporto dello stesso con quello di giustizia  e di stato, che assume le sembianze di un giovane zoppo, stanco, affaticato acciaccato dalla sua stessa burocrazia e circondato solo di debiti, spese e politica, rappresentati dai personaggi in scena.

Lo spettacolo in carcere

Lo spettacolo in carcere

Innocenza e giustizia «Come è possibile che un bravo ragazzo – si chiede l’Innocenza, sul palco, raccontando la sua storia di bambino, quando non voleva andare a scuola e attorno a sé vedeva solo avidità di denaro e di potere – che lascia la sua terra per cercare un lavoro altrove, che per ripagare di un favore un amico, guidando un’auto rubata, si trovi coinvolto in un incidente stradale e, alla fine, venga condannato per omicidio volontario?». La giustizia, questo, non lo sa, neanche quando gli stranieri, i reclusi, gli ultimi degli ultimi ricordano, a memoria, con gli accenti e le cadenze di tutto il mondo, l’articolo 3 della Costituzione.

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