Economia, lavoro, Pd: Paparelli fa il punto

Umbria, il vice presidente della giunta regionale a 360 gradi sui temi politici ed economici del territorio: «Ast? Governo assente»

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Un’analisi a 360 gradi di alcune delle tematiche più attuali della politica e dell’economia umbra. A farla è il vice presidente della giunta regionale e assessore all’economia Fabio Paparelli.

Paparelli, come sta l’Umbria dal punto di vista economico e occupazionale?

«Premesso che nell’economia globale, un analisi confinata dentro limiti geografici è di per sé molto parziale, direi che ci sono alcuni segnali positivi di ripresa e permangono alcune ombre ed ostacoli, tenendo conto che stiamo ritornando, come paese, dentro una nuova decrescita. Troppo spesso abbiamo analizzato il benessere di una comunità con la crescita del Pil, confidando che questo si traducesse in più posti di lavoro ed in un’equa distribuzione della ricchezza. Questo non è accaduto, purtroppo neanche in Umbria, ed è forse stato il limite anche del centrosinistra in Italia. La crisi economica prima, ma anche la fase di ripresa, non sono state accompagnate da un’equa redistribuzione del reddito e questo ha lasciato ferite sociali profonde. Nonostante ciò abbiamo registrato alcune performance che fanno intravedere nel nostro sistema economica la luce in fondo al tunnel. Ad esempio l’export regionale nei primi nove mesi del 2018 ha fatto registrare una crescita dell’8% rispetto allo stesso periodo del 2017, attestandosi su un volume di 3,2 miliardi di euro. Siamo sopra la media nazionale, così come in fatto di occupazione. Alla fine del terzo trimestre del 2018 in Umbria contiamo 351 mila occupati e 12 mila disoccupati in meno rispetto al 2017. La disoccupazione riguarda 30 mila cittadini con una percentuale del 7,9%, contro il 9,3% nazionale ed una media dell’8,2% nelle regioni del centro Italia. Accanto a questi ci sono i dati confortanti del turismo, tornato nel corso del 2018 ai livelli non solo pre-sisma, ma proprio pre-crisi. Abbiamo superato i 6 milioni di turisti con un +11% sul 2017 e percentuali positive in relazione al 2016 segnato dal terremoto ed anche al 2015, quando le cose andavano a gonfie vele. Tutto ciò nonostante i 2 mila posti letto in meno che contiamo in Valnerina sempre per gli effetti del sisma del centro Italia».

Fin qui alcune ‘luci’, ma le criticità a cui faceva riferimento quali sono?

«Gli elementi di maggiore preoccupazione vengono da alcuni settori particolarmente delicati come l’edilizia o alcune vertenze nei comparti dell’agroalimentare, così come dal fatto che ancora la creazione di posti di lavoro non sempre va nella direzione della stabilità dei contratti che statisticamente vengono contabilizzati. Vede, a differenza della destra, noi abbiamo una visione chiara dello sviluppo della regione, che deve basarsi sull’innovazione del sistema produttivo e nella sua sostenibilità. Per fare un salto di qualità, dentro questa cornice, la parola chiave è ‘produttività’. Dobbiamo recuperare un gap, su questo versante, come paese e come regione. Mentre al confronto con Toscana e Marche, nel settore manifatturiero abbiamo recuperato molto, altri comparti dell’economia umbra continuano a registrare bassi livelli di produttività. Lo dice anche lo studio che la Regione ha commissionato all’università di Perugia e che, nell’insieme, afferma che rispetto alle altre realtà del centro Italia, la nostra continua a registrare un gap di produttività specie nel settore terziario».

Cosa si può fare per superare tale stato di cose?

«Mentre il comparto manifatturiero ha recuperato molte posizioni nel corso degli ultimi anni, anche grazie a realtà decisamente intraprendenti e in crescita e grazie al programma ‘Industria 4.0’, sul fronte del terziario avanzato siamo ancora molto indietro per la sostanziale mancanza di servizi innovativi. In questo contesto ogni attore sociale può fare molto e l’idea che stiamo realizzando, anche alla luce della conferenza regionale dell’economia e del lavoro che abbiamo tenuto nei mesi scorsi, è quella di un patto per la crescita ed il lavoro, in cui ciascun attore istituzionale e sociale si impegni per eliminare quelle ‘distorsioni’ che continuano a frenare lo sviluppo dell’Umbria, agendo sui versanti dell’internazionalizzazione, della dimensione di impresa, dell’innovazione e della ricerca. Senza trascurare i temi della responsabilità sociale, del passaggio generazionale e della sicurezza sul lavoro. Puntiamo molto anche sulle potenzialità di sviluppo del turismo. Dopo i risultati brillanti del 2018, ci affidiamo ad un soggetto qualificato come Nomisma per il nuovo un masterplan triennale che, utilizzando gli analitics ed i big data, giungerà ad una profilazione il più possibile dettagliata e completa dei turisti che raggiungono l’Umbria, per tarare al meglio le azioni sul prodotto e sulla promozione, massimizzando l’efficacia degli investimenti in tal senso».

A Terni si continua a ragionare sulle prospettive turistiche della città e di San Valentino. Lo ritiene ad oggi, il santo degli innamorati, un prodotto turistico?

«San Valentino è la festa più importante di Terni ma perché diventi ‘prodotto turistico’ bisogna compiere ancora azioni, creando un vero ‘prodotto San Valentino’. Spingere sul wedding in sinergia con la diocesi e quindi la basilica del Santo è, ad esempio, una strada da percorrere. Così come investire sul museo della basilica che dovrebbe essere reso disponibile in orari definiti e con i servizi necessari, costruendo una storia, un percorso, che vada ad intersecarsi con l’enorme eco che il patrono degli innamorati ha in tutto il mondo. Tutto il contrario dell’assurda polemica scatenata dal ministro dell’interno e vice premier Matteo Salvini che qualche giorno fa ha affermato che, secondo lui, la festività andrebbe abolita. Del resto la sua stessa presenza a Terni era stata imbarazzante nei toni e nei contenuti: tanti selfie senza dire una parola sulle grandi questioni, dall’Ast a Treofan, dall’area di crisi complessa, allo ‘scippo’ perpetrato con il piano periferie. Ma pare che al governo gialloverde, ma pure a quello locale a guida Latini, poco interessino le questioni del lavoro e dello sviluppo».

Può spiegarsi meglio?

«Intanto Terni è stata depredata delle risorse destinate alla riqualificazione di Terni Est, ovvero 13 milioni di euro già stanziati e stornati alle città del nord, proprio da questo governo. E la Lega nazionale ha di fatto commissariato il partito cittadino e l’amministrazione. Se poi dobbiamo valutare l’attenzione al territorio, dalla promozione delle sue eccellenze professionali e, per venire ad un caso specifico, dalle nomine su FarmaciaTerni, direi che non stiamo facendo molto. Continuo a ritenere che la città esprima contenuti e valori professionali all’altezza, ignorati dalla politica. Non è una questione di campanile, guardi ma di poco amore per i ternani».

A giudicare dai consensi del periodo, la maggioranza città sembra pensarla diversamente

«Il centrosinistra ha commesso degli errori, anche se fino al 2015 il giudizio dei cittadini è sempre stato positivo in termini di elezioni, voti e consensi. Ciò che accaduto negli ultimi tre anni, sia dal punto di vista endogeno che esogeno, è stato oggetto di un’approfondita autocritica ma non può essere l’alibi eterno di un’amministrazione comunale inadeguata. Gli unici progetti che si stanno realizzando, come la nuova illuminazione pubblica connessa ad ‘Agenda urbana’, gli investimenti sulle scuole o sui teatri del Cmm o ancora quelli prossimi sul centro remiero di Piediluco, sono frutto di risorse e progettualità della Regione Umbria e di precedenti programmazioni. Di contro, dal Comune di Terni, avvertiamo un isolamento istituzionale preoccupante».

Sul futuro di Ast, oggetto di un recente incontro al Mise, che clima avverte invece?

«Intanto credo che la politica debba parlare con la politica. E, con tutto il rispetto, un vice capo di gabinetto del ministero dello sviluppo economico (Giorgio Soriel, ndR) non può essere l’interlocutore centrale in una interlocuzione così rilevante per il futuro di Terni, dell’Umbria e dell’intero paese, considerata la strategicità degli acciai speciali nelle produzioni del futuro, dopo che la città ha già pagato un prezzo sociale pesante sotto la gestione-Morselli di Ast. Quando poi la figura di riferimento del M5s umbro parla di ‘delocalizzare le acciaierie’, considerando che il suo partito è al governo ed ha proprio la delega allo sviluppo economico, non posso che essere preoccupato. Con l’ultimo governo di centrosinistra le interlocuzioni sull’acciaieria erano con il ministro Carlo Calenda o il suo vice Teresa Bellanova. Questo governo invece ci sembra latitante quando si tratta di parlare di Terni e di Ast. Sull’ambiente la musica è la stessa, vista la scarsa attenzione destinata ad una misura, come il riconoscimento di ‘area ambientalmente complessa’, sostenuta dalla Regione e dai parlamentari di opposizione, ma sin qui ignorato dall’esecutivo gialloverde. In questo quadro credo che le istituzioni locali non abbiano consapevolezza dell’importanza dell’accordo di programma stipulato alla base dell’area di crisi complessa. L’accordo infatti, prevede non solo il sostegno agli investimenti ed alla creazione di nuovi posti di lavoro, ma il potenziamento dei fattori di localizzazione. Per questo abbiamo più volte sollecitato al governo la ripresa del confronto presso i ministeri dell’ambiente, delle infrastrutture e dell’università, attraverso i tavoli attivi, ma fermi da ormai un anno. Lo sviluppo economico non può prescindere da infrastrutture adeguate ed io continuo a ritenere che un collegamento veloce con Roma, 30 minuti di percorrenza in orari strategici, resti l’unica vera soluzione per una mobilità ferroviaria migliore per Terni, per collegarla alla capitale ed attraverso Roma, al mondo globale. Noi, come Regione, siamo comunque pronti ad investire le risorse necessarie. Lo abbiamo già fatto con le autostrade informatiche che consentiranno, entro quest’anno, a tutte le famiglie umbre di essere connesse con la banda ultra-larga al resto d’Italia e d’Europa».

Il reddito di cittadinanza è uno di quei fronti che porterà ad un superlavoro da parte degli uffici sotto la sua competenza politica. Siete pronti?

«Ci attende senz’altro un duro lavoro con la neo costituita Arpal Umbria. Va detto comunque che regioni e governo non hanno ancora raggiunto un’intesa. Si parla tanto di rafforzamento dei Cpi e noi chiediamo non solo che le 4 mila unità di rafforzamento previste per i centri per l’impiego siano assunte con procedure semplificate, per stringere i tempi, ma che i 6 mila ‘navigator’ vengano assunti dalle agenzie regionali del lavoro, per superare problemi di costituzionalità e di funzionamento. Detto ciò, i potenziali beneficiari del reddito di cittadinanza in Umbria sono 70 mila per un totale di 22 mila nuclei familiari. Il numero di quelli effettivi scende a 40 mila eliminando le categorie anagrafiche e sociali non contemplate dal governo, il 90% dei quali è già utente dei centri per l’impiego mentre la parte restante è per lo più in carico ai servizi sociali dei vari comuni. Nell’ultimo anno presso i Cpi umbri si sono recati 22 mila utenti per il rilancio della ‘Dichiarazione immediata di disponibilità al lavoro’ e la stima finale è che fra servizi ‘canonici’ e reddito di cittadinanza, l’utenza delle strutture possa salire fino a 50 mila unità. Considerando che l’impegno sarà enorme soprattutto nei primi mesi del provvedimento, fra maggio e giugno, ritengo ci siano delle azioni urgenti da mettere in atto. Una di queste è l’aspetto degli spazi fisici dei vari Cpi, il cui affitto, va ricordato, è a carico dei comuni. Continuo comunque a ritenere che se per ogni disoccupato umbro avessimo tre possibili offerte di lavoro, ad oggi qui da noi il problema-disoccupazione non esisterebbe».

Prima lei ha parlato del Pd, degli errori, dell’autocritica. Qual è lo stato di salute oggi, prima del congresso, e come vede il futuro?

«Dopo il congresso regionale, in cui com’è noto ho sostenuto Walter Verini, abbiamo dato ampia disponibilità ad un processo unitario che generi però un cambiamento vero e la ricomposizione di una comunità politica che negli ultimi anni si è logorata. Comportamenti uguali al passato non generano esiti diversi dal passato. Molte sconfitte sono direttamente addebitabili alle tensioni interne al Pd e, più di recente, vicende come quelle di Orvieto, Città della Pieve e Montecastrilli ci dicono che la direzione giusta non è stata ancora intrapresa del tutto, nonostante la volontà manifestata. Una ricomposizione è condizione necessaria ma non sufficiente per far ripartire il Pd. Servono soprattutto idee e politica che ci rimettano in sintonia con quella parte del paese, fra cui i cittadini più fragili o deboli, che ci ha visto troppo spesso come ‘chi ce l’ha fatta’ finendo per ignorare istanze più che legittime. Occorre poi un partito nazionale che risvegli anime e coscienze, perché solo così possiamo offrire all’Italia un’alternativa credibile a populismi fondati sulle paure e sulle chiusure. Anche gli appelli della Chiesa e del terzo settore, su questi temi, vanno colti per dare risposte all’altezza. Se tali elementi non dovessero giungere dal congresso del prossimo 3 marzo, ogni tentativo locale finirà per essere più debole».

Lei, ‘renziano’ della prima ora, oggi sostiene Zingaretti. Un cambio non da poco.

«Dopo ogni fase politica che si chiude, bisogna essere capaci di rimettersi in sintonia con una società che cambia e che ci ha criticati profondamente, come le elezioni politiche di un anno fa hanno dimostrato. Personalmente ho sempre cercato, in ogni fase, di ‘sposare’ il cambiamento. Aspettative prima incarnate e poi deluse da Matteo Renzi. Ora credo che un’affermazione netta di Nicola Zingaretti, unico dei candidati a non avere responsabilità nelle conduzioni Pd del passato, possa rappresentare un segnale importante per il rilancio e il rinnovamento del partito. Fra l’altro è persona che conosce i territori, ha ben presente cosa voglia dire entrare in sintonia con i cittadini, soprattutto con quelle classi meno agiate che più di altre hanno pagato il prezzo della crisi in questi anni».

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