Imprese e costi energetici: troppo alti

Leggi e provvedimenti ancora insufficienti per ridurre il gap fra l’Italia e gli altri paesi europei. Eppure il privato le tenta tutte

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Diventare il primo continente climate-neutral entro il 2050. È l’obiettivo che la neo presidente della commissione europea Ursula von Der Leyen ha affidato al suo vice Frans Timmermans con l’ambizioso compito di attuare il ‘green new deal’, asse portante delle politiche proposte dal nuovo esecutivo di Bruxelles. Elemento centrale di questa rivoluzione sarà giocoforza il settore industriale, dove gli effetti di una riconversione green possono essere dirompenti, tanto in positivo quanto in negativo.

Margini ampi

Efficientare, ovvero rendere i processi industriali meno energy-intensive di quanto non lo siano già, è la parola d’ordine. Si tratta chiaramente di un procedimento già avviato, tuttavia il margine d’azione – soprattutto per l’industria energivora – è ancora notevole e deve essere utilizzato appieno per ridurre consumi e costi, incrementando la competitività.

Costi sempre troppo alti

Focalizzando l’attenzione sul nostro paese, di certo oggi c’è da un lato la Sen, Strategia energetica nazionale, che ha posto dei vincoli temporali molto ristretti per la realizzazione della decarbonizzazione in Italia, rendendo urgente una pianificazione industriale dettagliata che ancora manca nel nostro paese. Dall’altro, uno dei temi più critici rimane il fatto che, nonostante i processi di liberalizzazione, il costo dell’elettricità per le imprese industriali in Italia è più elevato rispetto alla media degli altri principali paesi europei di quasi il 20%. Grazie alle recenti normative, questo divario si è ridotto per gli energivori, eppure la situazione rimane complicata per molti settori come quello siderurgico, in cui il costo dell’energia costituisce dal 20% al 40% del totale per la produzione dell’acciaio. Qui risiede uno dei motivi che penalizza maggiormente la capacità competitiva delle nostre imprese.

Anidride carbonica

Altro fattore di rilievo è l’esplosione del prezzo dei permessi di emissione dell’anidride carbonica: dal 2021 cambia la normativa e, avendo stabilito obiettivi molto ambiziosi di riduzione al 2030, la commissione europea sta creando le condizioni per rendere sempre più oneroso emettere Co2. Questa situazione, unita al fatto che alcuni fondi hanno iniziato ad acquistare Co2 proprio perché hanno fiutato l’opportunità di ricavarne ricchi guadagni, ha causato il triplicarsi del prezzo. Una situazione che incide pesantemente sull’energia, perché tutti i produttori di energia da termoelettrico sono obbligati ad acquistare i permessi di emissione, non avendo assegnazioni gratuite. Non è un caso che alcune aziende hanno avviato progetti innovativi per fronteggiare in parte il problema.

Il progetto a Terni

Ne abbiamo un esempio in Umbria, dove Acciai Speciali Terni ha presentato ad aprile scorso il suo nuovo impianto per la generazione di vapore in maniera innovativa che consente allo stabilimento di elevare al 70% del totale la quota di vapore prodotto senza l’utilizzo di combustibili fossili. Contenendo i consumi di metano, Ast riduce le emissioni di Co2 in atmosfera per un quantitativo pari a 30 mila tonnellate annue.

Il gap e i tentativi di ridurlo

Progetti virtuosi a parte, resta il fatto che l’Italia soffre da sempre di un gap con il resto d’Europa per quanto riguarda il costo dell’energia, poiché la genera utilizzando combustibili nobili, come il gas naturale, meno inquinanti, ma più costosi rispetto ad altri paesi. È il caso della Germania che ha una generazione per il 35% da carbone e l’11% da nucleare o la Francia genera energia per l’85% dal nucleare. È il motivo per cui in Italia in passato sono state adottate politiche industriali mirate a far concorrere gli energy intensive ad armi pari sui mercati europei. Sono stati diversi i provvedimenti adottati dai governi precedenti e approvati dalla comunità europea, dall’Interconnector (il provvedimento, recepito in Italia dalla Legge 99 del 2009, basato sulla progettazione della costruzione di nuove infrastrutture di interconnessione con i paesi limitrofi per l’importazione di energia elettrica) in scadenza nel 2021, fino all’attesa modifica del regime degli oneri di sistema (cosiddetto ‘decreto energivori’) e basata sull’entità del consumo e sul valore aggiunto della società.

Il settore più avanti di leggi e provvedimenti

In ogni caso, il divario di costo tra Italia e resto d’Europa persiste. La situazione si fa preoccupante perché sono in scadenza o necessitano di revisione importanti provvedimenti di politica industriale come l’Interconnector appunto e ‘l’interrompibilità’ (ovvero il fatto che alcune industrie ad altissimo consumo godano di sconti consistenti sul chilowattora se hanno caratteristiche di interrompibilità, cioè se i loro consumi possono essere distaccati da un momento all’altro quando lo richiede il sistema elettrico, assicurata fino al 2020). Eppure i risultati ottenuti dal settore dell’energia sono importanti e tangibili: in 30 anni i consumi specifici sono stati dimezzati dopo un lavoro continuo di efficientament che, d’altra parte, ha come scopo la riduzione dei costi che converge con la sostenibilità ambientale, banalmente perché meno si consuma, meno si paga e mano si inquina. Il settore energivoro ha perseguito questo obiettivo anche quando l’ecologia non era d’attualità e l’ha sempre fatto per un motivo sostanziale: la possibilità di competere sul mercato. Non è un caso che in Italia siano presenti gli impianti più efficienti d’Europa.

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