Ires Cgil: «L’Umbria sempre più a sud»

Presentato il rapporto sull’economia del territorio, il sindacato: «Ripresa ancora troppo flebile, il lavoro è sempre più precario. Serve un nuovo protagonismo della Regione»

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Sono ancora deboli i segnali di ripresa dell’economia umbra, dove il Pil inizia a crescere, ma solo dell’1,1% (meno della media nazionale e del centro Italia) e l’occupazione registra un aumento importante solo del lavoro a termine (+20,4%), in un percorso costante di meridionalizzazione: emergono più ombre che luci dall’ultimo rapporto dell’Ires Cgil Umbria, curato dai ricercatori Marco Batazzi e Lorenzo Testa, e presentato mercoledì a Terni, da Mario Bravi, presidente dell’Ires Umbria, Attilio Romanelli, segretario generale della Cgil di Terni, Filippo Ciavaglia, segretario generale della Cgil di Perugia e Andrea Farinelli, della segreteria regionale Cgil Umbria.

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Una montagna da scalare Come ha evidenziato Bravi, presentando nel dettaglio i dati, il rapporto «mette in evidenza le difficoltà strutturali della regione». «Il primo dato nuovo, la lieve inversione di tendenza data dall’aumento del Pil, che dovrebbe essere confermata anche nel 2018 e 2019 – ha spiegato -, è dovuta essenzialmente alle esportazioni e deve essere valutata con cautela, perché l’asticella è più bassa rispetto alle altre regioni limitrofe e perché il gap con il 2007, prima dell’inizio della recessione, è ancora enorme: sono stati persi 13,4 punti percentuali di Pil, ovvero 3,6 miliardi di euro di ricchezza». Un gap che tutt’oggi incide sui consumi, che in Umbria registrano l’ottavo trimestre consecutivo di contrazione.

La precarizzazione Ma è anche la qualità del lavoro ad essere profondamente peggiorata in questi ultimi 10 anni: nel 2017 il numero di occupati in Umbria si è attestato a quota 354.803, con un incremento di appena 576 unità rispetto al 2016 (+0,2%), ma a crescere, come accennato, è solo il lavoro a termine (+20,4%), mentre cala fortemente (specie in provincia di Terni) il lavoro autonomo (-14,7% nel ternano, contro il -3,5% del perugino) e arretra anche quello dipendente a tempo indeterminato. I disoccupati inoltre tornano a crescere, raggiungendo quota 41.762. Nel 2017 sono stati infatti registrati circa 80.400 nuovi rapporti di lavoro, ma solo 10.800 sono stati a tempo indeterminato, mentre il tasso di disoccupazione è ancora oltre il 10%, con un aumento del 2% in provincia di Terni, dove si attesta all’11,7%

Le proposte «La crisi ha allargato le differenze tra le varie realtà territoriali – è stato sottolineato ancora dai rappresentanti della Cgil – in questo processo di progressivo impoverimento le realtà di Terni e Narni sono quelle che hanno pagato il prezzo più alto». Quale allora la ricetta per invertire definitivamente la vertenza? «L’aumento flebile del Pil non potrà incidere sulla ripresa se non sarà sostenuto da politiche attive – ha concluso Bravi -, forze sociali e istituzioni devono lavorare per dare impulso alla crescita attraverso una nuovo progetto che concentri sforzi e risorse, non a pioggia, per creare nuovo lavoro di qualità, stabile e ben retribuito. Servono progetti imprenditoriali validi da mettere in campo, ma la Regione deve svolgere il proprio ruolo di soggetto intorno al quale discutere».

Rifondazione Comunista «L’ultimo rapporto Ires Cgil conferma la crisi profonda che attraversa l’Umbria su occupazione e consumi. Niente di nuovo, purtroppo. E’ una situazione – la nota – che conosciamo bene, certificata anche dai rapporti Istat sul lavoro e da quelli dell’Inps: la crisi economica e sociale dell’Umbria è oramai strutturale. Un punto di Pil in più  e un certo aumento delle esportazioni non sono dati capaci di indicare una reale ripresa. Basti pensare alla deindustrializzazione in atto con i casi emblematici di Ast e Perugina, all’incapacità di dare prospettiva ai nuovi lavori e ai tanti che per lavorare devono aprire la partita Iva, al dramma vissuto da giovani e meno giovani che, quando va bene, si vedono proporre dalle agenzie interinali contratti poveri e precari rinnovati settimana per settimana. Oltre ai dati e ai commenti, queste sono le condizioni reali delle lavoratrici e dei lavoratori della nostra regione, questi sono i risultati del Jobs Act: aumento della precarietà, della disoccupazione e della povertà. Il governo regionale monocolore Pd, in linea con le politiche nazionali di Renzi e sempre attento alle richieste di Confindustria, non è riuscito a proporre né una politica industriale, né un cambio del modello di sviluppo. Ecco, riteniamo che sia arrivato il momento di passare dalle parole ai fatti, serve una mobilitazione regionale, serve un’alternativa, un’alternativa popolare e di sinistra che metta al centro della sua proposta politica il lavoro e lo stato sociale».

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