di Walter Patalocco
Raramente succede che un’antica pietra tombale sia murata su una parete: eppure nella chiesa di San Pietro a Terni c’è. E’ quella che copriva la sepoltura di Stefano Manassei, nobile ternano e podestà di Firenze.
In origine la pietra trovava collocazione sul pavimento, come d’uso, ma nel corso di uno degli innumerevoli rifacimenti della chiesa, essa è stata collocata sulla parete sinistra del presbiterio. E così la figura di Stefano Manassei è offerta all’eternità, a meno di massici stravolgimenti della costruzione.
Come mai il nobile ternano ha meritato tutto questo? Ma perché, sorgendo la dimora dei Manassei proprio a fianco della chiesa, egli ne finanziò di tasca sua l’ampliamento.
S’era nel XV secolo e quello fu il secondo ampliamento in un secolo e mezzo, visto che l’atto ufficiale di nascita del tempio deidicato San Pietro è il 1287.
In verità una chiesa chiamata San Pietro in Trivio, lì, esisteva già, ma era ormai ridotta a poco più di un rudere. Nel 1315 il primo intervento si realizzò costruendo il convento annesso. Poi toccò a Stefano Manassei mettere mano al portafogli, assicurandosi – oltre all’immortalità nella figura sulla pietra tombale – anche, e più prosaicamente, un’area riservata per sé e la famiglia quando c’era da assistere alla messa.
Storia tormentata fin dall’inizio quella della chiesa di San Pietro, quindi. Un paio di secoli di tranquillità e ci pensò il terremoto del 1703, rimasto nella memoria storica come uno dei più disastrosi, a causare parecchi danni. Il restauro che seguì resse per altri due secoli, cioè fino quando fu sconquassato dalle bombe anglo-americane nel 1943.
Ma siccome non tutte le disgrazie vengono per nuocere quelle bombe ebbero almeno il merito di far tornare alla luce affreschi pregevoli del XIV secolo, i quali, in occasione del restauro post-sisma, erano finiti dietro ad un muro.
Tra di essi opere pregevoli di artisti umbri non noti, tra le quali spicca l’opera di quell’ignoto pittore che dal soggetto del suo dipinto è oggi noto come “Maestro della Dormitio Virginis”.