Montanini a Perugia: eloquio di un perdente

Nello spettacolo non parla del terremoto (e ci spiega perché), ma spiattella in faccia al pubblico l’ipocrisia della società moderna: «Siamo sottomessi e invidiosi dei nostri aguzzini»

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di P.C.

Da Giorgio Montanini ci saremmo aspettati un riferimento al terremoto: lui, marchigiano, in Umbria per uno spettacolo, poteva cogliere la palla al balzo per una battuta graffiante, un riferimento ironico, un’invettiva. Niente di tutto questo. E il motivo lo spiega proprio lui alla fine dello spettacolo che – al Capitini di Perugia – ha fatto ridere e riflettere centinaia di spettatori.

MONTANINI: «TERREMOTO COME LA GUERRA, PER RIDERNE C’È BISOGNO DI TEMPO» – INTERVISTA VIDEO

Giorgio Montanini

Capitini pieno

«Siamo come il Bangladesh» «Vivo nelle Marche, regione terremotata – ci dice – e pur abitando a Fermo ho avuto paura di morire. Mi rendo conto che una tragedia del genere non può essere trattata così superficialmente. Bisogna avere il tempo di far decantare una tragedia immane come quella del terremoto per poterci fare satira, che ovviamente non sarà mai sulle vittime ma sul potere che ha permesso che ciò accadesse. Perché noi uomini il terremoto lo conosciamo benissimo. Abbiamo le tecnologie per ridurne al minimo le conseguenze, invece non lo facciamo: se una scossa come quella avesse colpito Roma anziché l’Appenino avremmo avuto 20mila morti, come in Bangladesh».

Sfruttati e invidiosi La chiacchierata, seria, arriva alla fine di un monologo di quasi un’ora in cui Montanini, col suo stile crudo, ha messo a nudo ipocrisie e vigliaccherie del genere umano. In particolare italiano. Con un linguaggio fin troppo esplicito, parla di paura, razzismo, libertà (sessuale, ma non solo), religione ma più in generale del rapporto fra il potere e le masse. «Noi invidiamo i nostri sfruttatori e ce la prendiamo con i poveracci – dice dal palco – è un mix micidiale che genera paura». C’è spazio anche per alcuni rapidi passaggi sull’attualità, in particolare sul caso Weinstein – Asia Argento (di cui parla anche nell’intervista), che usa soprattutto come metafora del finto buonismo, della pietà come mancia alle donne da parte di una società maschilista.

Colpi allo stomaco Montanini non è certamente un comico ‘piacione’. Le sue battute fanno ridere spesso di gusto ma quasi sempre la risata è accompagnata da altri sentimenti. Talvolta nel pubblico c’è imbarazzo per una sessualità spiattellata senza pudore ma ancor di più c’è il malessere per verità che, a sentirsele dire, seppure in un contesto comico, fanno male. Come i riferimenti allo sfruttamento del terzo mondo o ai morti del Mediterraneo: la risata c’è, ma si strozza in gola. È lo stile di Montanini: prendere o lasciare. Per questo è così importante la collaborazione del pubblico. E il comico marchigiano è molto bravo a coinvolgerlo nel meccanismo, talvolta spiegandolo nel dettaglio.

Giorgio Montanini

Saluti ai fan

Il cazzotto di Bologna Il suo rapporto con il pubblico è viscerale, fisico, diretto. Anche troppo, in certi casi. Montanini racconta infatti che dopo lo spettacolo di Bologna, prima tappa del tour, un fan troppo accalorato – o forse solo un provocatore – durante i consueti saluti in camerino si è infervorato e gli ha sferrato un pugno: «Colpa mia – dice Montanini – gli ho detto ‘ora te meno’ e poi non l’ho menato. Lo racconto per un motivo preciso: per far capire che se picchi un comico sei un poveraccio. Solo nei regimi totalitari se la prendono coi comici. Puoi non essere d’accordo con i miei monologhi, ma se ti offendi sei uno stupido. Anche perché spesso chi si offende non lo fa mai per il contenuto dei monologhi, ma per i paradossi che io uso come pretesto comico».

Tempi supplementari Si vede che ci tiene a spiegare il suo punto di vista e il suo modo di fare comicità. Non solo ai giornalisti. L’intervista arriva dopo lo spettacolo e dopo quasi un’ora in cui, dietro le quinte, davanti al suo camerino, c’è stato quello che nel rugby si chiamerebbe ‘terzo tempo’. Una fila di ammiratori che non si limita a una foto ma chiede conto delle battute, si confronta sui temi trattati, fa domande. E lui si concede, senza trascurare nessuno. Spiega il senso dei ragionamenti, racconta retroscena. Poi abbraccia e bacia tutti, ringraziandoli per la presenza.

Il ruolo delle prime file «Il pubblico per me è la vera linfa – confessa – nei miei live di solito è molto caldo, ma quello di Perugia è stato straordinario. Si è fatto prendere per mano e mi ha seguito nel percorso. Anche quelli in prima fila. Mi dispiace se li prendo in giro, ma non li considero mai vittime, piuttosto sono collaboratori nello spettacolo. Se un comico prendesse davvero per il culo il suo pubblico sarebbe una specie di aguzzino nazista, che sfrutta la sua posizione. Invece per me sono uno strumento, mi aiutano a far ridere. Infatti poi a fine spettacolo li abbraccio e li ringrazio per la collaborazione».

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