Omelia San Valentino: «Eccellenza, dissento»

Lettera aperta di Melasecche (ILT) al vescovo Piemontese dopo il solenne pontificale di domenica: «Chi urla ha meno colpe di chi ha portato la città al fallimento»

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di Enrico Melasecche
Consigliere comunale ‘I Love Terni’

Eccellenza,
la sua ultima pastorale in occasione e del pontificale del nostro San Valentino sta facendo discutere la città. È giusto che sia così e la ringrazio per la riflessione cui invita tutti. Personalmente ne condivido gran parte del contenuto, anche alla luce della successiva interpretazione, presumo autentica o quasi, del presidente dell’Azione Cattolica. Due passaggi in particolare mi lasciano però perplesso: quello relativo alle responsabilità di chi ha spinto la città in queste condizioni e la critica nei confronti di un episodio di comprensibile protesta.

In primo piano, Enrico Melasecche

Quando lei crede, e se mai lo vorrà, posso spiegarle nel dettaglio, da professionista del settore e da ex assessore anche al bilancio del Comune di Terni i complessi meccanismi che hanno portato al dissesto, frutto di errori, illegalità, ma anche comportamenti gravemente antitetici rispetto a quelli del buon padre di famiglia, posti in essere di fatto negli ultimi quindici anni dai sindaci e dai collaboratori da loro scelti o comunque imposti dai partiti, il che cambia ben poco il giudizio. Comportamenti su cui puntualmente avevo scritto giudizi inequivocabili.

Dichiarare in una sorta di frase assolutoria: «Il dissesto della città risiede nelle dinamiche democratiche degli ultimi 30 anni» alleggerendo così le responsabilità di chi governa, con poteri notevolissimi, da nove anni, e spalmandole in una generica chiamata in correo di tutto e tutti, costituisce una dichiarazione che non corrisponde a verità. Tutto questo, mi creda, amareggia non poco sia chi si è battuto in questi decenni per il rigore coniugato alla buona amministrazione volta allo sviluppo, ma anche tutti i cittadini onesti, a cominciare dai più deboli, che si troveranno a subire conseguenze durissime per i prossimi trent’anni da questa voragine del dissesto.

Il vescovo Giuseppe Piemontese

Aggiungo, la morale cattolica, lei m’insegna, fondata sul perdono, sempre e comunque, ha un valore universale ed il peccatore pentito si riconcilia con Dio promettendo innanzitutto a se stesso di non ricadere nel peccato. Ma la Carta della Repubblica Italiana e quella di qualsiasi altro stato moderno non può che basarsi sulla piena assunzione delle responsabilità di chi amministra la cosa pubblica che deve avvenire con il massimo rigore. L’articolo 54 della Costituzione, da molti considerata il Vangelo civile della nostra Italia recita: «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore […]», principio molto più alto ed ampio della sola onestà che impedisce di commettere reati perseguiti dal codice penale. Su questi aspetti rinvio agli accorati appelli di Gustavo Zagrebelsky, costituzionalista di rango, sempre, non solo a fasi alterne. Portare la città al disonore del dissesto, per la prima volta nella storia di Terni, terza nella storia d’Italia fra tutte quelle che superano i centomila abitanti, è il contrario del dettato costituzionale.

Il secondo aspetto su cui mi permetto di dissentire è il giudizio duro che lei dà, giustificando con ciò un fin troppo comodo vittimismo del sindaco, sulla protesta che sale dalla città violentata immeritatamente dalle azioni sopra richiamate. Il Vangelo di Marco e Luca ci ricordano che «Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombi… L’udirono i sommi sacerdoti, gli scribi, gli anziani […] avevano paura di lui, perché tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento…».

Quindi la colpa è di chi ha portato la città al dissesto con una serie lunghissima di azioni improprie o di chi dovrà subirne ingiustamente le conseguenze in termini di sacrifici pesanti? Di chi, di fronte all’atto provocatorio del sindaco che aveva il doppio dovere statutario e regolamentare di relazionare alla città e di rispondere delle proprie azioni, come da ordine del giorno precedentemente concordato, si è sottratto in modo odioso causando le proteste del popolo?

Può essere il tono della voce e lo sdegno di chi richiama il primo cittadino ai propri doveri di ‘disciplina e onore’, dopo anni ed anni di leggerezze, a costituire colpa rispetto ai molti, forse troppi silenzi di chi avrebbe anzitempo dovuto – politici, organi dello Stato, intellettuali – vigilare ed agire? Eppure nessuno del popolo ha ancora rovesciato tavoli di cambiavalute e sedie di venditori di colombi, pur subendo ben più gravi affronti. Crede anche lei sia necessaria una riflessione serena ma a tutto campo? Saluti particolarmente cordiali.

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