Omicidio Raggi: «’Aziz’ sapeva di uccidere»

Terni, ecco le motivazioni nella condanna definitiva di Amine Aassoul a 30 anni decisa dalla Cassazione: «Escalation criminale»

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È «evidente» che Amine ‘Aziz’ Aassoul «sapesse e si prefigurasse le conseguenze anche mortali del suo gesto e che ciò nonostante ha agito, sì da uccidere quasi all’istante»: sono passati quasi cinque mesi dalla sentenza della Corte di cassazione che lo scorso marzo ha condannato definitivamente a 30 anni di carcere l’omicida del 27enne David Raggi, ora si conoscono anche le motivazioni della decisione della Suprema Corte, che ha sancito l’inammissibilità del ricorso presentato dalla difesa del marocchino.

L’OMICIDIO DI DAVID RAGGI

David Raggi

Solo giudizio di legittimità

Nell’impugnazione la difesa di Aassoul – sostenuta dall’avvocato Bruno Moscarelli – aveva insistito sulla tesi dell’omicidio preterintenzionale, anziché di omicidio volontario, e sulla mancata sussistenza dell’aggravante dei futili motivi. Ma la sentenza dei giudici di Cassazione – così come richiesto anche dal legale di parte civile Massimo Proietti – ha confermato le valutazioni fatte sia dal gip di Terni nel settembre 2015 (sei mesi dopo la tragedia) che dalla Corte di assise di appello di Perugia nell’ottobre dell’anno dopo, riprendendo ampi stralci di queste ultime e sottolineando la «comprovata la responsabilità dell’imputato». «In entrambi i motivi di impugnazione – spiega ancora la Corte – solo formalmente sono prospettati vizi di motivazione e violazioni di legge, ma in realtà viene richiesta un’inammissibile rivalutazione delle circostanze attentamente e congruamente esaminate dalla Corte territoriale e prima ancora dal giudice delle indagini preliminari. Quindi, non possono avere rilevanza le censure volte ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite».

TRE ANNI SENZA DAVID, FRA GIUSTIZIA E DOLORE

L’avvocato Massimo Proietti

Nessuna preterintenzionalità

Per la Suprema Corte «la sentenza impugnata valuta in una prospettiva di insieme tutti gli elementi probatori raccolti circa la volontà omicidiaria di Aassoul» e li confronta con la preterintenzionalità, «di cui evidenzia la debolezza». Tra le varie circostanze evidenziate dai giudici a sostegno di questa tesi «il fatto che Aassoul si sia fermato e non abbia colpito Raggi in corsa, mentre fuggiva dagli agenti, dopo peraltro avere inveito nei suoi confronti; il fatto che il colpo non risulti essere stato sferrato di striscio, quasi a casaccio come per allontanare la vittima nella corsa, ma direttamente e quasi frontalmente al collo della medesima, come dimostrato anche dalla ferita dovuta ad “un infilzamento perpendicolare e profondo dei tessuti, senza alcuna azione tangenziale al piano cutaneo”; il fatto che la persona offesa abbia tenuto una condotta assolutamente passiva, mostrandosi inoffensiva e rimanendo, col gesto di alzare le braccia in alto, ancora più scoperta ed indifesa all’attacco dell’altro; il fatto che il colpo sia stato sferrato con un oggetto scheggiato di vetro, verosimilmente la base di un calice di vetro ( trovata, poi, a terra nei pressi del luogo dell’aggressione, completamente insanguinata), e, quindi, con uno strumento di notevole offensività; il fatto che il colpo sia stato diretto al collo, ‘zona particolarmente vitale di un uomo’».

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I futili motivi

Quanto alla futilità dei motivi, la Cassazione ricorda che la Corte d’assise d’appello aveva evidenziato che l’omicidio di David Raggi non sia che «l’epilogo di una escalation criminale che aveva portato l’imputato, dopo l’iniziale rifiuto del barista di somministrargli ulteriori alcolici, a reagire sempre più violentemente nei confronti di chiunque gli si frapponesse o anche solo parasse contro (gli altri clienti del bar, i poliziotti, i passanti) per sfogare la sua crescente aggressività nei confronti del mondo esterno, da lui percepito come ostile»; come, quindi, sia «evidente la futilità dell’iniziale evento (il semplice rifiuto del barista) rispetto a tutto il tragico degenerare dei successivi eventi che ne è conseguito»; come, in definitiva, «la violenza incontrollata e la determinazione criminosa di cui ha dato mostra l’imputato, se da un lato stanno a dimostrare la volontarietà dell’atto, dall’altro sono prova anche della sproporzione tra il motivo dell’agire e le sue conseguenze».

L’Unavi

In merito ad un altro grave fatto di sangue, l’omicidio della 73enne Antonietta Migliorati avvenuto a Rho (Milano) il 17 agosto del 2017, lo stesso avvocato Proietti – oltre a rappresentare i familiari della donna nel corso del processo che inizierà il prossimo 24 ottobre di fronte alla Corte d’assise di Milano – si costituirà parte civile per conto dell’Unavi, l’Unione nazionale vittime di reati violenti, di cui il legale è responsabile regionale per l’Umbria. Imputato è il 53enne Renato Modugno, accusato di averla sgozzata in casa dopo averle rubato un orologio d’oro, una catenina, un anello ed un orecchino.

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