Ospedale Terni: «Alta specialità essenziale»

Prosegue la discussione sul futuro del ‘Santa Maria’. Dominici (FI): «Fondamentale per attrattività». Fiorelli (M5S): «No a ‘turismo’ nosocomiale»

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Prosegue la discussione a Terni sul futuro a stretto giro dell’ospedale, in particolar modo legato all’alta specialità, in seguito all’allarme lanciato dai medici della struttura. Sul tema intervengono la capogruppo in consiglio comunale di Forza Italia Lucia Dominici e l’esponente M5S Claudio Fiorelli, cardioanestesista al ‘Santa Maria’.

Attrattività ed efficienza

La Dominici sottolinea come da anni «Forza Italia denunci una crisi importante negli equilibri tra la città di Terni e Perugia, a cui è necessario far fronte tramite una riorganizzazione, ormai da tempo promessa, delle due aziende territoriali, di cui ancora non si sono definiti gli assetti. Ancora oggi dalla Regione si sente parlare della volontà di volere mantenere le due aziende ospedaliere di alta specialità, integrate con l’università di Perugia, ma nei fatti si assiste a tutt’altra politica. Non ci dobbiamo dimenticare infatti che l’attrattività del polo ternano, dimostrata dal grande numero dei trattamenti effettuati, proviene proprio dalle numerose prestazioni di alta specialità che oggi sembrano non avere più futuro. Sarebbe opportuno, finalmente sapere, quali siano – prosegue – i reali progetti della presidente Marini a riguardo o se intende trascurare la sanità nel territorio ternano, nonostante siano consistenti i fondi arrivati a Terni dal governo che permetterebbero finalmente di riammodernare la struttura per renderla ancora più efficiente. Una politica comune e chiara di rilancio, per il tramite importante di tutte le professionalità che da sempre crescono e si formano all’interno della nostra azienda, non potrà che riportare il nostro ospedale ad essere attrattivo e funzionale per i nostri cittadini e per quelli dei territori limitrofi. È evidente che tutto ciò passa obbligatoriamente attraverso una leadership oculata e lungimirante – conclude – della nostra azienda; per questo auspichiamo che sempre di più vengano coinvolte figure manageriali di ottimo curriculum ed esperienza, che ben conoscono ed hanno a cuore il nostro territorio, con volontà di sviluppo secondo le linee di una finalmente chiara e attenta politica sanitaria regionale».

Il piano sanitario regionale e i doppioni

Fiorelli – dello stesso pensiero è Gino Di Manici, cardiochirurgo del ‘Santa Maria della Misericordia’ di Perugia – invece puntualizza che «si apprende dalla bozza del nuovo piano sanitario regionale 2019-2021 che si parlerebbe di ‘Reparti accorpati e taglio dei doppioni’ al fine di ‘mettere in rete le risorse, soprattutto dei professionisti, evitando duplicazioni diseconomiche, prevalentemente nell’alta specialità’.  Premesso che appare giusto muoversi contro gli sprechi a favore di un efficientamento dell’apparato statale e sanitario in primo luogo. Quel che ci preoccupa sono le soluzioni esposte nella bozza; schemi che ci fanno pensare a tutto tranne che ad ‘un taglio dei doppioni’ o a un’ottimizzazione dei servizi tra Terni e Perugia, né si intravedono le modalità con cui si realizzerebbe un effettivo risparmio di risorse. Pensare, come è scritto a chiare lettere, di suddividere i tipi di interventi cardiochirurgici e distribuirli in diversi ospedali è nella pratica irrealizzabile e avrebbe conseguenze gravemente avverse all’interesse dei pazienti nonché mortificanti la professionalità degli operatori sanitari medici ed infermieri».

Conseguenze nefaste

I due professionisti evidenziano che, «per esempio, è stata riportata l’idea di eseguire gli interventi sulle valvole cardiache in un centro e quelli sulle coronarie in un altro. Appare arduo capire come questa “soluzione” determinerebbe un vantaggio per i pazienti nonché una riduzione dei costi e/o degli sprechi di risorse. Prendendo in considerazione solo alcuni delle conseguenze nefaste di tale proposta, essa presupporrebbe di sottoporre ad esami diagnostici un paziente in uno dei centri per poi trasferirlo in un altro ospedale, spesso in condizione di acuzie, in seguito alla diagnosi ottenuta e questo perché la Regione avrebbe stabilito ‘a tavolino’ che quello specifico intervento debba essere eseguito in altra sede pur essendo a disposizione nello stesso ospedale un’équipe in grado di eseguirlo lo stesso. Come comportarsi, poi, nei frequentissimi casi in cui il paziente è affetto sia da problemi coronarici che valvolari? Quale sarebbe il destino dei molti pazienti ricoverati in regine di urgenza il cui trasferimento risulta molto complesso e rischioso se non impossibile? Appare evidente che questo ‘percorso diagnostico-terapeutico’ determinerebbe un significativo incremento dei rischi per il paziente nonché il lievitare dei costi per il Sistema Sanitario. La suddivisione proposta, inoltre, condurrebbe con certezza ad un mortificante svilimento della professionalità dei medici che per decenni si sono formati al fine di conseguire piena autonomia operativa nella propria disciplina e renderebbe impossibile la formazione professionale dei giovani che, a parole, tanto ci sta a cuore».

Il turismo nosocomiale

In conclusione Fiorelli e Di Manici mettono in risalto che «questa specie di ‘turismo nosocomiale’ non solo espone il paziente a rischi inaccettabili, mortifica e demotiva gli operatori e determina un incremento dei costi sanitari indiretti ma costringe anche le famiglie a disagi inutili ed esosi come conseguenza di doppi ricoveri e trasferimenti con significativo incremento della spesa sociale per le famiglie. Se si vuole davvero uniformare e ottimizzare l’offerta terapeutica nel campo della cardiochirurgia e mettere a disposizione di tutti i pazienti umbri gli elevatissimi standard di qualità presenti nei due centri, è sicuramente più intelligente e proficuo prevedere un eventuale spostamento programmato delle équipe piuttosto che dei pazienti e delle loro famiglie, soluzione praticamente a costo zero d’altro canto già adottata per altre discipline chirurgiche. Senza alcuna intenzione polemica si ritiene che la politica, in occasione di scelte così profondamente impattanti la vita delle persone, dovrebbe lavorare con e non contro gli operatori sanitari i quali conoscono davvero a fondo le problematiche legate all’esercizio delle alte specialità chirurgiche. In campo sanitario provvedimenti che hanno solo un effetto ‘cosmetico’, tanto per ‘far vedere’ di fare qualcosa, sono avversi alla tutela della salute pubblica».

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