Al Curi va in scena il ‘paradosso Mancini’

Tutti i tifosi di tribuna potevano avvicinarsi al ct della nazionale tranne i giornalisti, reclusi nel ‘recinto’ dell’area stampa senza nemmeno la possibilità di scattare una foto

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di P.C.

Giusto che quando viene un ospite di riguardo si cerchi di proteggerlo, ma quello che è accaduto sabato pomeriggio, allo stadio Curi, con il commissario tecnico della nazionale italiana Roberto Mancini, durante la partita Perugia-Brescia, sembra per certi versi paradossale. 

Il ct in mezzo ai tifosi

Roberto Mancini in tribuna autorità

Roberto Mancini non è stato infatti ‘protetto’ da orde di fan scalmanati o da potenziali aggressori. No. Gli steward dello stadio non si sono stretti attorno all’allenatore marchigiano per isolarlo rispetto al resto dello stadio. No. Mancini, protetto solo dalla sua coppola, ha visto la partita in un normale posto di tribuna autorità, subito dietro il presidente del Perugia Santopadre e il direttore dell’area tecnica Goretti. Accanto a lui, a pochi centimetri dal suo braccio, sfilavano gli altri tifosi di tribuna, che passavano tranquillamente lungo il corridoio, per andare in bagno o (i vip) per raggiungere l’area ospitality. E lo stesso Mancini si è allontanato dalla sua postazione, confondendosi nella folla fra primo e secondo tempo, senza che vi fosse alcun cordone protettivo, ma in assoluta libertà, per poi tornare a sedersi, a partita appena ricominciata, nel secondo tempo. E nessuno lo ha importunato.

IL VIDEO: CORI PER LEO CENCI MENTRE MANCINI VA A SEDERSI

I giornalisti ingabbiati

Gli unici che non si sono potuti muovere con libertà – questo il primo paradosso della serata – sono stati i giornalisti; letteralmente ‘ingabbiati’ all’interno della tribuna stampa (appena due file più su), impossibilitati persino a raggiungere il corridoio per recarsi ai servizi igienici, ma obbligati, in caso di necessità fisiologiche, a fare il ‘giro lungo’, passando da sopra per poi scendere dal corridoio parallelo. E tutto questo per evitare che il ct potesse essere importunato con delle domande (da gente che, guardacaso, è lì proprio per questo: fare domande). È questo è il secondo paradosso, nessuno avrebbe potuto impedire ad uno qualsiasi dei tifosi della tribuna centrale di avvicinarsi al ct pressoché incontrollato e porgli una domanda. Mentre giornalisti, che invece sono controllati, hanno il tramite dell’ufficio stampa, sono riconoscibili da un accredito con tanto di foto e rispettano dei criteri professionali deontologici, viceversa, non potevano. Impedito pure – ai giornalisti – qualsiasi tentativo di avvicinarsi per immortalare Mancini in una foto o in un video fatto col cellulare. Non ai tifosi. Tanto che le uniche foto ‘professionali’ di Mancini (comprese le due che pubblichiamo) sono state scattate con il teleobiettivo direttamente dai fotografi che erano in campo. Nel frattempo però – anche questo un paradosso – circolavano sui social foto scattate da tifosi ‘vip’ che si sono fatti un selfie con il commissario tecnico.

Innocenti domande

Non che a Mancini si volesse chiedere dei destini del mondo, per carità; giusto un commento sul Perugia e sulle sensazioni della serata. Magari una riflessione sullo stato di salute del calcio italiano o, per rimanere in ambito perugino, sul ruolo di Vido, che lui stesso ha detto di immaginarsi trequartista. Niente di serio insomma. E sarebbe bastato un diniego con la testa, un «non rilascio dichiarazioni», per non importunarlo oltre: i giornalisti in genere capiscono fin dove possono spingersi. Fare domande e ricevere spesso un rifiuto rientra nel loro lavoro. Invece nulla: confinati nel recinto. Precauzioni che nemmeno per visite di capi di stato: loro vengono tenuti lontano dalla folla (per ragioni di sicurezza) ma ai giornalisti si avvicinano. Qui è successo l’inverso.

‘Addebito’ stampa

Non che qualcuno si illudesse che essere giornalista (o ‘fare il giornalista’, a seconda delle accezioni) negli anni Duemila, garantisse chissà quali privilegi. L’unico ‘vantaggio’, se così vogliamo chiamarlo, è strettamente connesso al lavoro da svolgere: i cronisti sportivi richiedono, attraverso le testate per cui collaborano, un accredito stampa, che dà diritto ad accedere ad aree dello stadio adibite allo svolgimento del lavoro giornalistico – la sala stampa e la tribuna stampa, appunto – che in teoria dovrebbero essere delle postazioni ‘privilegiate’ (ammesso che sia un privilegio assistere per lavoro a certe partite), all’interno delle quali i normali tifosi non possono entrare. È qui che ci sono postazioni ad hoc per lavorare (con predisposizioni per telecamere e computer) ed è qui che a discrezione delle società arrivano i tesserati per rilasciare dichiarazioni. Lo fanno per lavoro: documentano ciò che vedono per darne conto ai tifosi. All’ingresso della sala stampa e della tribuna stampa ci sono delle porte, controllate da steward, per evitare che personale non accreditato possa accedervi. Sabato pomeriggio la realtà si è capovolta: la tribuna stampa, da zona riservata dove i ‘non giornalisti’ non possono entrare, è diventata una sorta di gabbia, da cui i giornalisti non potevano uscire. Almeno non da quel lato. Insomma, mentre i tifosi normali potevano avvicinarsi a Mancini, salutarlo, fargli una foto, provare a parlargli; i giornalisti, a cui ciò sarebbe in teoria garantito dal loro status e che devono farlo per lavoro, non potevano farlo proprio in quanto giornalisti.

Altro che ‘accredito’ stampa. Chiamiamolo ‘addebito’ stampa.

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