Rogo Biondi, la politica sta giocando sui veleni

I rappresentanti istituzionali sembrano più impegnati nelle scaramucce che nella ricerca della verità sulle conseguenze dell’incendio di rifiuti tossici nell’area industriale di Ponte San Giovanni, a Perugia

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È cominciato uno strano balletto attorno alle ceneri della Biondi Recuperi, in cui rappresentanti delle istituzioni sembrano più preoccupati di tutelare se stessi e il proprio futuro elettorale, che i cittadini.

Le fiamme nel deposito

Dati a singhiozzo

Già dai primi giorni, dopo aver sottolineato l’immediatezza dell’intervento dei vigili del fuoco, si notava una certa titubanza nel fare chiarezza su quel che è successo all’interno del deposito rifiuti di Ponte San Giovanni, nella zona industriale di Balanzano, alle porta di Perugia. Dopo la prima fase di paura, con la opportuna chiusura delle scuole (ma non dei luoghi di lavoro: perché?) che si trovavano lungo il percorso dei fumi, e dopo la diffusione dei primi dati, che hanno giustamente allarmato la cittadinanza, sembra sia cominciata una corsa alla rassicurazione fra Comune, Regione, Arpa e Usl, come se il vento che ha spazzato via i veleni dall’aria di Perugia avesse portato con sé anche le responsabilità di chi deve garantire la salute dei cittadini, di chi deve salvaguardare e certificare la non contaminazione di colture e derivati animali, non meno importanti rispetto alle responsabilità di chi quel deposito lo gestiva e che ora deve rendere conto del proprio operato alla procura e al Noe.

Tensione in consiglio

Già lo spettacolo offerto all’indomani del rogo in consiglio comunale non era stato edificante, con la fredda lettura, da parte dell’assessore all’Ambiente Barelli, di dati già noti, a fare da contraltare ad un caldissimo scambio di accuse fra maggioranza e opposizione, in cui c’è stato anche spezio per alcune frasi poco edificanti («Non aspettavate altro», ha urlato il consigliere Traccheggiani all’opposizione, facendo inalberare persino il solitamente calmo presidente Varasano). Nei giorni successivi si è andati oltre. Mentre in consiglio regionale, sulla falsariga di quanto avvenuto in Comune, si rendevano noti dati già noti, cominciava fra Arpa e Usl il balletto dei dati sulla diossina, che è poi il più temuto fra gli inquinanti perché è quello che più resiste nel tempo sia nell’ambiente sia negli organismi viventi. «Li diamo oggi pomeriggio, no anzi domani, forse dopodomani…», fino a che l’Usl se n’è uscita con un comunicato in cui parlava di dati di «sostanziale normalizzazione dei parametri di qualità dell’aria», citando nell’elenco degli inquinanti anche le diossine, su cui però non erano ancora stati resi pubblici i dati. Né dall’Usl erano disponibili a farlo, ammettendo di averli ricevuti in forma riservata.

La conferenza improvvisa

Infine, in queste ore, l’ultimo atto. Mentre dal partito Democratico si preannuncia l’ottenimento di un consiglio comunale aperto, programmato per il 27 marzo, la giunta convoca in fretta e furia una conferenza stampa con Usl e Arpa, scelta che fa gridare allo scandalo il Pd: «Crediamo che quello della giunta sia un comportamento da censurare poiché svilisce il ruolo e le prerogative del consiglio comunale impedendo un reale confronto sul tema tra i consiglieri comunali, depositari della rappresentanza della città, derubricando un problema grave per la salute dei cittadini ad un suo personale spot elettorale, auspichiamo che nel consiglio comunale aperto convocato per il 27 marzo, a cui sono stati invitati Regione, Usl, Arpa, università, carabinieri e vigili del fuoco, avremo risposte chiare ed esaustive in merito alla situazione ed ai rischi di quella che purtroppo è una vera e propria emergenza ambientale», scrivono i Dem in un comunicato.

Cosa hanno detto nella conferenza

Pochi, pochissimi, i dati saltati fuori rispetto a quelli che già si conoscevano: ribaditi i ringraziamenti ai vigili del fuoco, confermato (per l’ennesima volta) che l’aria di Ponte San Giovanni è stata ripulita dal vento e che ora l’attenzione è sul suolo, nel corso della conferenza è emerso che i dati dei ‘precipitati’ sono ancora scarsi e non sufficienti per avere un quadro della situazione: parziali per le verdure (ma non ci sarebbero differenze notevoli rispetto a zone limitrofe), del tutto assenti su latte e uova, dove si concentrano con maggior intensità. Nessuna novità quindi, rispetto a quanto già sapevamo. E allora perché fare la conferenza?

La conferenza stampo

Si ragiona su dati che non ci sono

Al momento si ragiona per deduzione: «Sulla base dei dati e delle esperienze pregresse non vi è un danno ambientale elevato», ha detto il direttore del laboratorio multisito di Arpa Donatella Bartoli, ammettendo che i dati attualmente in possesso non consentono di fare altro tipo di ragionamento. Dal canto suo, il direttore dell’agenzia Walter Ganapini ha assicurato che i campionamenti proseguiranno nel tempo per avere ulteriori dati confrontabili nel tempo, rassicurando su celerità e trasparenza: «Servono tempi tecnici per fare alcune analisi, c’è bisogno di un monitoraggio continuo, altre serve il tempo del deposito al suolo e solo dopo possono andare in laboratorio; non c’è motivo di nascondere niente, appena abbiamo avuto i risultati li abbiamo subito trasmessi a Usl e Comune per le decisioni del caso».

«Resta l’ordinanza»

Restano comunque – «a titolo precauzionale» – le avvertenze indicate nelle precedenti ordinanze sindacali (ovvero il consiglio di consumare i prodotti alimentari coltivati in zona solo dopo accurato lavaggio con acqua e strofinazione delle superfici e, ove possibile, alla rimozione del rivestimento superficiale; il divieto di consumare i prodotti coltivati nel raggio di 3 km dal luogo dell’incendio da parte dei soggetti più a rischio, come bambini, donne in gravidanza e in allattamento; divieto di raccolta e consumo di funghi epigei spontanei, di pascolo e razzolamento degli animali da cortile e di utilizzo dei foraggi e cereali destinati agli animali, raccolti nell’area interessata). Ma restano anche le perplessità sulla osservanza di queste restrizioni: chi ci pensa? Chi controlla?

Lavoratori a rischio

Infine, altro nodo, è quello delle aziende della zona (che vede capannoni industriali senza soluzione di continuità) e della stessa Biondi, dove ovviamente ci sono i rischi maggiori, tanto che – assicura Patrizia Bodo, dell’Usl – «i lavoratori della Biondi Recuperi saranno sottoposti a controlli di sorveglianza sanitaria essendo più a rischio». Discorso analogo per le altre aziende presenti nell’area, per le quali (sempre la Bodo) «abbiamo accertato una diffusione degli inquinanti con concentrazioni superiori ad altre aree, per questo è stata fondamentale l’ordinanza imponeva alle suddette aziende verifiche dei filtri e la eventuale manutenzione straordinaria degli impianti di ventilazione meccanica con prelievo di aria dall’esterno». Anche qui, solita domanda: qualcuno ha controllato che lo facessero? Per le scuole se n’è occupato il Comune (lo ha confermato il dirigente Piro), ma per i luoghi di lavoro? E per le case del vicino quartiere residenziale? Ci siamo fatti un giro e nessuno di quelli con cui abbiamo parlato aveva ricevuto un avviso in tal senso.

Possibili altri incendi?

E mentre ancora si indaga sulla matrice dell’incendio nel deposito, i cittadini di Ponte San Giovanni sono doppiamente preoccupati: da un lato chiedono di sapere le conseguenze del rogo di rifiuti tossici, dall’altro ci si sente indifesi rispetto ad altri possibili roghi, non solo nella stessa Biondi (che già fu oggetto di un episodio analogo nel 2016) ma anche in altri capannoni della zona, che trattano rifiuti o sostanze potenzialmente tossiche. La locale associazione Pro Ponte si è attivata chiedendo con forza maggiore vigilanza e dati certi: «Abbiamo sempre attentamente rivolto azioni e pensieri anche alla qualità dell’aria e dell’ambiente segnalando ad Arpa, a Gesenu e ad altri organismi ed enti preposti, situazioni anomale e pericolose che potevano destare sospetti e problemi», ha dichiarato il presidente Palmerini.

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