Perugia, strage-negozi nel centro storico

In otto anni, dice Confcommercio, chiuso il 25 per cento delle attività. Soffrono i libri e i giocattoli, ma anche l’abbigliamento. Terni va ‘meno male’: con un calo del 9,1%

Condividi questo articolo su

Saracinesche abbassate, immobili sfitti, centri storici sempre più vuoti. Non sorprende ma lascia comunque a bocca aperta la tragica fotografia scattata da Confcommercio sulle attività commerciali nei centri e nelle periferie di quaranta città.

IL REPORT DI CONFCOMMERCIO

Meno 25% E Perugia è una tra le realtà italiane più in sofferenza. Meno 25%, come Catania e Palermo, meglio solo di Frosinone, che ha fatto registrare meno 41% e Bari, con meno 28%. Una realtà che si riflette lungo corso Vannucci ma anche nelle vie limitrofe, dove gli unici a resistere sono le grandi catene in franchising mentre di prodotti tipici e negozi senza il grande marchio ormai sembra non esservi più traccia. E se da un lato diminuiscono i negozi, dall’altro aumentano gli ambulanti. Secondo i dati pubblicati mercoledì da Confcommercio, nel periodo 2008-2016 i negozi del commercio al dettaglio sono scesi del 13,2%, mentre il commercio ambulante è cresciuto dell’11,3%. Soprattutto al sud.

Negozi chiusi nel centro di Terni

Terni Se Perugia è quasi sul podio, il commercio nel centro storico di Terni sembra andare un po’ meglio, con perdite più contenute negli ultimi 8 anni. A chiudere ‘solo’ il 6,6% di attività commerciali nel centro, ma la periferia ne ha risentito di più con -9,1% di negozi.

Soffrono libri e giocattoli In tutta Italia tiene il settore della ristorazione con alberghi, bar e ristoranti che aumentano del 10,2%. In particolare i negozi nei centri storici sono scesi del 14,9%, mentre fuori dai centri storici calano del 12,4%. Al contrario, invece, il commercio ambulante nei centri storici è aumentato del 36,3% e del 5,1% nelle periferie. Per quanto riguarda invece le categorie di merce, a soffrire di più sono i libri e i giocattoli, con il -23,4% nelle acropoli e il -11,7% in periferia. Male anche l’abbigliamento, che perde nei centri storici 1.903 unita’ e nelle periferie arriva a chiudere 2.669 attività, e il settore dei carburanti, -27,0% in centro e -22,9% nelle periferie. Resistono anche nei centri storici, invece, computer e telefonia (+13,4%), anche se nelle altre aree cittadine perdono il -3,3%. Le farmacie, invece, si salvano ovunque, e anzi nelle periferie vedono una crescita del 14,4%. 

Perdite secche «La riduzione dei negozi nei centri storici delle nostre città riduce la qualità delle vita – commenta il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli – senza i negozi non c’è socialità, bellezza e sicurezza. E’ un problema grave perché le città sono una risorsa di inestimabile valore per tutti». Giù le saracinesche, un po’ in tutta Italia, mentre aumentano gli ambulanti che hanno meno costi e si muovono più facilmente. «È un fenomeno che ha raggiunge picchi preoccupanti al Sud, con una crescita del 280% a Palermo – spiega Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi di Confcommercio – è una trasformazione che deve far riflettere, perché alla chiusura di un negozio del centro storico non c’è una riapertura in periferia. Insomma è una perdita secca».

Le cause Secondo Confcommercio la chiusura dei negozi nei centri storici è dovuta a diversi fattori come l’incremento dell’età media della popolazione che consuma meno e quindi scoraggia la permanenza del negozio nel centro storico. C’è poi il ciclo economico negativo che ha un impatto più significativo nei centri storici che altrove. Infine la sopravvivenza del negozio nel centro storico dipende anche dal livello dei canoni di affitto e, in particolare, dal rapporto tra canoni nel centro e in periferia: «ogni 10% di incremento di questo rapporto – conclude Bella – comporta, a parità di altre condizioni, una riduzione dell’8% dei negozi del centro: 630 chiusure su 3.470 nel periodo 2008-2016 sono spiegate da questo fenomeno, oltre il 18%».

Giorgio Mencaroni

L’Umbria «Anche l’Umbria è a rischio spopolamento commerciale. E questo non è un problema dei commercianti che abbassano le serrande, ma di tutti, perché la progressiva rarefazione commerciale riduce la qualità della vita dei residenti e l’appeal turistico delle città. Senza i negozi nelle città c’è meno socialità e più criminalità. Occorrono quindi misure che favoriscano il ripopolamento commerciale delle città, attraverso un’efficace politica di agevolazioni fiscali, ancor più necessaria in Umbria, dove l’effetto diretto e indiretto del terremoto sta provocando danni devastanti a tutte le attività produttive». E’ questo il commento di Giorgio Mencaroni, presidente Confcommercio Umbria, sui dati emersi dal rapporto Demografia d’impresa nei centri storici italiani, presentato mercoledì.

Canoni più accessibili Secondo Mencaroni, la situazione avrebbe potuto essere ben più pesante se non fossero intervenute le moltissime iniziative di rilancio del territorio sostenute da Confcommercio, che comunque hanno portato, nell’ultimo anno e mezzo, ad almeno 80 nuove aperture di attività commerciali nel centro storico di Perugia. «Il lavoro che abbiamo realizzato con l’aiuto di tanti imprenditori e dell’amministrazione comunale è stato intenso e ha portato frutti. Ora questi risultati rischiano di essere vanificati dagli effetti del terremoto –  commenta Sergio Mercuri, presidente del mandamento Confcommercio di Perugia e comprensorio – in una situazione di eccezionale gravità, occorrono misure straordinarie di sostegno alle imprese che non si vogliono arrendere». Da qui, dunque, bisogna ripartire. Ed è per questo che tra le prossime iniziative dell’associazione di categoria c’è quella di aprire un tavolo di confronto con le associazioni dei proprietari di immobili che arrivi alla revisione delle formule contrattuali e per rendere i canoni commerciali più accessibili.

 

Condividi questo articolo su
Condividi questo articolo su

Ultimi 30 articoli