Raggi, battaglia contro l’elemosina di Stato

7.200 euro a testa per il padre, la madre e il fratello di David: la famiglia ricorre contro la sentenza. In ballo le responsabilità dello Stato

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Una ‘elemosina di Stato’ di 21.600 euro – 7.200 euro a testa per il padre Walter, la madre Bruna e il fratello Diego – che alla famiglia Raggi non poteva andare giù. Non solo per l’entità in sé, pur trattandosi di un indennizzo a carico della presidenza del consiglio dei ministri per le vittime di reati particolarmente efferati, ma anche perché la sentenza del marzo scorso che l’aveva sancito, aveva contestualmente rilevato l’assenza di responsabilità dei ministeri competenti in ordine alla mancata espulsione ed alla mancata carcerazione – nonostante dovesse scontare 7 anni e 6 mesi di reclusione – dell’omicida.

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Il ricorso in appello

La vicenda è quella tristemente nota del delitto consumatosi la sera del 12 marzo 2015 in piazza dell’Olmo, quando il 27enne ternano David Raggi venne ferito a morte alla gola dal marocchino Amine Aassoul, poi condannato in via definitiva a 30 anni di reclusione. Dopo quella sentenza amara, emessa dal tribunale civile di Roma, quella dei 21.600 euro, l’avvocato Massimo Proietti – che assiste la famiglia Raggi – ha depositato il ricorso di fronte alla corte d’appello civile di Roma. D’altronde il termine di 6 mesi per l’appello sarebbe scaduto il prossimo 8 settembre e del giudizio, particolarmente atteso, della Corte europea sulla legge italiana (la 122 del 2006) che stabilisce importi e casi in cui questi debbano essere liquidati, non c’è ancora traccia.

L’avvocato Proietti con la madre di David, Bruna

Gli argomenti

Proprio il parere della Corte europea sulla contestata legge era stato chiesto dalla Suprema corte di cassazione attraverso una specifica ordinanza. Nelle more, come si dice in gergo, la decisione della famiglia Raggi è stata quella di impugnare la sentenza che a marzo aveva spinto Walter Raggi a dire che «per lo Stato la vita di mio figlio vale meno di quella di un cane». Sul ricorso l’avvocato Proietti va dritto per la sua strada: «Partendo dal ragionamento della sostanziale incostituzionalità della legge che fissa quei modesti indennizzi – afferma -, si evidenziano errori e contraddizioni sia circa l’assenza di responsabilità dei ministeri per la mancata espulsione, e in questo senso l’articolo 13 del decreto legislativo 298 è chiaro, sia circa la mancata esecuzione della pena, visto che lo Stato è tenuto a garantire la sicurezza dei cittadini. E questo significa anche eseguire le sentenze».

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