Sangemini: «Risposte zero, ora tutti sanno»

Lavoratori del comitato iscritti Flai Cgil all’attacco sulla situazione aziendale: «Impegni disattesi e prospettive sempre più scure. Istituzioni e politica intervengano con decisione»

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Lavoratori Sangemini
Comitato Flai Cgil

Il 1° marzo del 2014 la famiglia Pessina è entrata in possesso della Sangemini. L’azienda è stata poi inglobata in Acque Minerali d’Italia, AMI, insieme a Norda e Gaudianello. Da allora sono passati quattro anni e mezzo e non è stata attuata che una parte minima del roboante piano di investimenti annunciato e che prevedeva un impegno di 14 milioni di euro entro il 2024.

SANGEMINI, PARLA IL SINDACO GRIMANI

Va ricordato peraltro che – facciamo riferimento a quanto riportato nel bollettino ufficiale del 5 agosto 2015 della Regione Umbria – solo a fronte di quel piano e della garanzia del suo rispetto, a Sangemini Acque furono trasferite le concessioni per l’utilizzo delle fonti per un canone annuo di 52.250 euro. Ad oggi, invece, per la Sangemini – fatte salve le campagne pubblicitarie – è stato speso 1 milione e 500 mila euro per l’acquisto di due soffiatrici e un’etichettatrice. Ma di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e per far sì che si possa fare un risparmio energetico adeguato e abbassare il costo della bottiglia, non se ne è parlato mai.

Della manutenzione mirata da noi chiesta più volte per mantenere efficienti impianti non più giovanissimi, seppur ancora in grado di garantire volumi produttivi più elevati di quelli attuali, non c’è stata traccia e non c’è la volontà di attingere ai fondi dell’Area di crisi complessa perché legati al mantenimento occupazionale. Mentre ad esempio sono stati investiti 32,8 milioni di euro su Gaudianello e 24,5 sui siti di Norda.

Numeri che da soli indicano quella che si profila come una strategia chiara e che non può essere fatta passare sotto silenzio. Come non si può tacere sull’assoluta mancanza di una programmazione di medio-lungo periodo in grado di offrire quelle prospettive di sviluppo e crescita che in un settore come quello delle acque minerali, è l’unica garanzia vera di un impegno volto alla valorizzazione del marchio e in assenza della quale, invece, le prospettive sono quelle di un progressivo declino.

E sono proprio queste le prospettive con cui, anche alla luce di quanto lasciato intuire da Arturo Ferrucci – presentato informalmente come nuovo responsabile del personale, ma ad oggi ancora assenti dagli organigrammi aziendali – temiamo di doverci confrontare a settembre, quando dovrebbe finalmente essere esplicitato il nuovo piano industriale per i siti Sangemini e Amerino. Un piano, peraltro, che dovrebbe essere reso operativo in assenza di un direttore industriale valido, nel ruolo che attualmente non è ricoperto da nessuno: altro elemento che non ci permette di lasciar trascorrere altro tempo senza portare tutti, come abbiamo fatto e stiamo facendo, a conoscenza del reale stato delle cose.

Noi infatti non intendiamo aspettare. Anche per questo abbiamo dato vita ad una serie di incontri con tutti i sindaci dei comuni – San Gemini, Montecastrilli, Acquasparta, Avigliano Umbro e Terni – interessati dalla captazione delle acque, con vari lavoratori residenti negli stessi territori, con i rappresentanti della Regione Umbria e con i parlamentari.

I lavoratori, non va dimenticato, hanno già pagato e stanno pagando un prezzo altissimo: il sacrificio dei 36 espulsi dal percorso produttivo per la chiusura della Fruit (altro capitolo della storia di Sangemini) e mai rimessi in marcia con promesse fatte dalla proprietà. Mentre per tutti i 92 che attualmente sono impiegati è in vigore l’accordo che prevede, garantendo alla proprietà un risparmio di circa 700 mila euro l’anno, il ricorso alla cassa integrazione per una settimana al mese. E anche qui ci sarebbe da discutere.

Di fatto questa è l’unica parte degli accordi firmati e sottoscritti dalla proprietà dal 2014 che è stata integralmente rispettata. Nel 2014, ad esempio, era stato assunto un impegno formale: portare la produzione dei siti Sangemini e Amerino entro il 2018 a 250 milioni di pezzi. Ebbene, tale risultato non sarà nemmeno avvicinato perché le proiezioni ci portano a pensare che si possa arrivare a circa 160 milioni. Come nulla è stato fatto, ad esempio, per la creazione di una linea-vetro sbandierata dalla proprietà più volte e con cui mettere Sangemini in condizione di aggredire il mercato Horeca (hotellerie-restaurant-cafè) e riposizionare in maniera adeguata quello che resta il marchio di maggior prestito di cui dispone AMI.

Come pure appare sempre più evidente il disimpegno nei confronti del marchio Fabia Aura Amerino, solo in parte compensato dalla confermata attenzione per Grazia, e la preoccupante mancanza di un piano commerciale in grado di aprire nuovi canali di distribuzione. A fronte di tutto questo e nella consapevolezza che questi segnali (ai quali si aggiunge la preoccupazione per i ritardi nei pagamenti dei vari fornitori) non possono e non devono essere ignorati dagli stessi ambienti politici e istituzionali che gestirono il passaggio di Sangemini e Amerino alla famiglia Pessina, chiediamo con forza una presa di posizione unitaria al fine di chiamare la proprietà di un bene prezioso per il Pil regionale, oltre che per la collettività, ad un’assunzione chiara di responsabilità e soprattutto a quegli impegni finora clamorosamente disattesi.

Noi lavoratori chiediamo inoltre con forza che la proprietà torni a rispettare gli accordi fatti all’atto dell’acquisizione della Sangemini. Ricordiamo che in virtù di quegli accordi è stato possibile il trasferimento della società a soli 17 milioni di euro. Tra questi c’era l’acqua a ‘chilometri zero’, strategia questa accantonata e che vede ora sostituire la presenza di Fabia con Norda: una vera appropriazione indebita, visto che gli spazi di mercato valgono milioni di euro, il tutto con una sola logica: dimostrare la crisi in Sangemini. Chiediamo inoltre alla Regione Umbria di far rispettare l’accordo sulle concessioni sulle garanzie occupazionali.

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