Terni: «Così ho salvato 5.200 bambini»

Antonino Morabito è il massimo esperto europeo di chirurgia pediatrica addominale. Dopo 20 anni di carriera in Inghilterra ora è al Meyer di Firenze. «Il cuore resta nella Conca»

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di F.L.

«Sono ternano e orgoglioso di esserlo. A Terni sono cresciuto e ho frequentato la scuola, ci sono i miei genitori, i miei amici d’infanzia con i quali sono rimasto in contatto. La gente ride quando lo dico, ma mi emoziona sempre tornare». Ma da Terni, dove è nato 53 anni fa, ne ha fatta di strada il professor Antonino Morabito: lo hanno soprannominato il ‘guru’ o anche il ‘mago’ dell’intestino, un chirurgo da 15 pagine di curriculum che ne fanno il massimo esperto europeo di chirurgia pediatrica addominale. Una vera ‘superstar’ della materia – «ma non mi sento un supermedico», puntualizza lui – dopo oltre 20 anni di carriera trascorsi all’estero, al Royal Manchester Children’s Hospital, fino al recente ritorno in Italia, alla direzione della struttura complessa di chirurgia pediatrica e infantile all’ospedale pediatrico Meyer di Firenze, oltre che della Scuola di specializzazione in chirurgia pediatrica dell’Università di Firenze. Un cervello in fuga e di ritorno, che ha ricevuto gli apprezzamenti per la sua scelta anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nella sua recente visita al Meyer. «Grazie per essere tornato», gli ha detto.

L’esperienza inglese

Antonino Morabito

«Un’emozione unica quell’incontro, io in realtà non mi aspettavo di tornare in Italia – racconta Morabito ad umbriaOn -. Ma con l’Università di Firenze e la direzione ospedale Meyer ci siamo piaciuti, il progetto mi è parso subito interessante: l’obiettivo è rivalutare la chirurgia pediatrica locale e trasportare in Italia la ricostruzione intestinale per paziente con intestino corto, il motivo per cui io andai in Inghilterra nel 1996». Doveva rimanerci inizialmente sei mesi, spinto, da specializzando, dall’interesse per questo aspetto della chirurgia pediatrica che ai tempi era ancora agli albori. «Ma sei mesi sono diventati 21 anni – continua il luminare -, i primi sono stati di training poi dal 2003 ho preso in mano la direzione della chirurgia pediatrica e del Centro di riabilitazione e ricostruzione intestinale autologa, allora era il primo e unico centro del genere in Europa. Abbiamo lavorato molto bene su questo aspetto, implementato nuove tecniche e tecnologie, richiamato pazienti da tutta Europa». Anni dunque di grandi successi professionali – nel 2012 il professore è stato il primo chirurgo ad eseguire un allungamento intestinale in un paziente adulto nel Regno Unito -, durante i quali è arrivato ad operare, solo come primo operatore, oltre 5.200 bambini. Un centinaio, invece, le ricostruzioni intestinale autologheeseguite su bimbi e neonati.

La scelta di rientrare

Numeri che Morabito da sei mesi sta rafforzando in Italia, da dove è appunto arrivata la chiamata congiunta di Università di Firenze e dell’ospedale pediatrico Meyer «per un progetto accattivante, quello di riportare nel nostre Paese un aspetto di eccellenza della chirurgia, la ricostruzione intestinale autologa appunto, aspetto poco conosciuto a questi livelli». Una «sfida» rientrare dopo tanti anni, anche se – aggiunge il professore – «è stato un rientro facile, in un centro di eccellenza internazionale. Non ho fatto un salto indietro, ma un salto. Logicamente ci si scontra con una cultura diversa, ci si deve abituare, ma le diversità non sono materiali e di metodologie. Gli inglesi sono molto più pratici, schematici, rigorosi, rigidi, più produttivi apparentemente. Noi italiani siamo più fantasiosi, però fantasia e creatività sono davvero molto importanti anche nella mia professione. Le ultime due tecniche chirurgiche vengono da qui, dallo stimolo a pensare come fare meglio, a non fermarsi mai, una cosa tipicamente italiana. Ha rappresentanto un vantaggio enorme che mi ha aiutato negli anni inglesi e mi aiuta ancora. Dall’Inghilterra sono invece rientrato con il vantaggio di aver acquisito un rigore diverso, nordeuropeo, ora sto cercando di prendere il meglio da entrambi i mondi».

Il ‘pallino’ dei giovani chirurghi

Ma uno dei motivi per cui Morabito ha accettato è stata anche la possibilità di lavorare con i giovani e soprattutto di formarli. «È stato sempre un mio pallino quello di cercare di creare nuove generazioni di chirurghi bravi non solo con le mani ma anche a pensare – dice -, dei medici completi. Il tecnico è importante, nel nostro lavoro la manualità è un’arte, ma è chiaro che ci deve essere anche un cervello ben educato a questa. Servono ottime mani in ottime menti, e poi bisogna essere onesti, conoscere i propri limiti, non essere mai arroganti, l’arroganza deve essere debellata e non promossa. Dobbiamo uscire dall’idea del supermedico, non siamo macchine ma persone con limiti, paure, gioie. Questa è la mia missione nei confronti dei giovani».

Italia al top

Una missione importante anche perché, precisa Morabito, «la preparazione di base dello studente di medicina italiana è fantastica, a livello europeo è la migliore. Quello che manca semmai è la pratica, in cui i nostri colleghi stranieri sono più avanti. A Firenze abbiamo il grosso vantaggio della simulazione, che è ad un ottimo livello. In sei ore è come fare 20 interventi chirurgici, è fondamentale per creare i chirurghi del domani. Non si sostituisce al maestro pensante, ma dalla tecnologia non si può prescindere». Sei ore come la durata degli interventi più lunghi e difficili, tra questi quello svolto da Morabito la scorsa estate su una ragazzina brasiliana di 13 anni arrivata a Firenze dal Brasile, dove era considerata senza speranza. «C’è stato vero boom mediatico, è stato in effetti tra i 5 interventi più difficili della mia carriera».

Il legame con Terni

Il Meyer di Firenze

Un’eco arrivata anche a Terni, città lasciata negli anni ’80 per iscriversi alla facoltà di Medicina dell’Università di Perugia, dove scoccò la scintilla tra l’aspirante pediatra e la patologia chirurgica grazie ad un altro ternano, il professor Adriano Bartoli. Morabito però – sposato con un’inglese dalla quale 5 anni e mezzo fa ha avuto il figlio Niccolò – non si è dimenticato delle sue origini. «Ora che sono a Firenze è più agevole tornare nella mia città. Passeggiare in via Roma, rivedere i luoghi dell’infanzia, le viuzze dietro a corso Tacito, via I Maggio, rivedere le scuole, il liceo classico, è sempre una bellissima emozione. Terni è una bella città, mi dispiace vedere tante serrande chiuse, ma speriamo in un futuro migliore. I giovani devono credere ed investire su Terni, le cose si fanno e succedono. Io stesso sono disposto a raccontare quello che faccio per dare una motivazione, una speranza e una spinta a questa città».

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