Terni, da autodidatta a batterista di Arisa

La storia di Giulio Proietti, che ha collaborato anche con Mogol e molti altri artisti italiani. «Io ‘professore-rap’, peccato la città sia in declino»

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di Federica Liberotti

La prima batteria a 5 anni, poi un lungo percorso da autodidatta, fino alla decisione, a 20 anni già compiuti, di approfondire la materia e mettersi a studiare. Una scelta decisamente azzeccata che, dopo tanta gavetta, lo ha portato a lavorare con maestri del calibro di Mogol o di artisti di fama come Arisa, di cui è il batterista ufficiale. È così che Giulio Proietti – nato a Cittaducale (Rieti) ma ternano d’adozione – è arrivato ai massimi livelli del panorama della musica italiana.

Mogol e Giulio Proietti

I primi passi

«Ho seguito la mia grande passione, coltivata sin da piccolissimo, che mi ha portato a percorrere una lunga carriera» racconta lui stesso, allievo di Vincenzo Restuccia (padre di Marina Rei, ma soprattutto uno dei più famosi batteristi italiani, a lungo in Rai). Un batterista puro, si definisce, ma anche produttore e insegnante. «L’occasione per fare il ‘salto’, anche a livello internazionale, è arrivata nel 1989, quando vinsi una borsa di studio, grazie ad Umbria Jazz, che mi ha permesso di studiare al Berklee School College of Boston, poi dal 1993 ho fatto importanti esperienze a Londra e in Svezia, dove ho partecipato a molte produzioni di successo. Nel frattempo ho anche preso parte ad un tour della Rei e collaborato, tra gli altri, con Leda Battisti, Rudi Zerbi, Mario Lavezzi». Alla fine del ’97 il ritorno definitivo in Italia, con l’approdo al Centro europeo di Toscolano di Mogol. «Un’esperienza che mi ha permesso di tornare a casa, ma anche di venire a contatto con tanti artisti importanti».

Il successo con Arisa

È al Cet che Proietti, oltre a collaborare con il maestro, conosce il pianista e compositore Giuseppe Barbera «un punto di riferimento per me – spiega -, con cui suono da 21 anni. Con ha lui, da 10, sono nella band di Arisa». Con la cantante lucana – ex allieva del Cet – Proietti ha calcato tanti palchi, anche quelli della tv e della radio, partecipando ad eventi e trasmissioni come Mtv Awards, Wind Music Awards, Coca Cola Summer Fest, Battiti Live, Quelli che il calcio, Che tempo che fa. «Ma che mi esibisca al bar o su un palco conosciuto per me è la stessa cosa, quando suono ci metto la stessa energia» precisa il batterista, che tra le varie cose nel 1999 ha anche registrato l’Emmanuel, il brano diventato l’inno mondiale della Giornata della gioventù e ha partecipato a ‘session’ con artisti come Mango, Adriano Celentano, Loredana Bertè, Ornella Vanoni, Gianni Bella, Iva Zanicchi.

Giulio Proietti

Le lezioni d’italiano ‘rap’

Oggi, oltre ad essere impegnato in diverse produzioni – «ho un grosso progetto in ballo con il gruppo ‘Gral’, formato con Sandro Raffe Rosati e Alessio Graziani» spiega – Proietti è inoltre due volte insegnante: nella scuola di musica Music Box di via dell’Arringo, ma anche nell’istituto Casagrande, sempre a Terni, dove insegna lettere. Anche in questo caso, però, sempre con un occhio rivolto alla musica. «Quando in classe si studia l’analisi del testo delle poesie facciamo il confronto con il modello della canzone melodica e con il rap di oggi. È sicuramente molto più coinvolgente per i ragazzi di una lezione tradizionale, loro sono contentissimi».

Una città che non valorizza l’arte

E proprio pensando a questi ragazzi, ma non solo a loro, è amara la riflessione di Proietti sulla situazione della città in cui, ormai oltre 20 anni fa, ha scelto di vivere. «Quando nel ’98 arrivai a Terni mi sembrò di arrivare ad Hollywood: era una città non solo altamente vivibile, ma molto dinamica e aperta al mondo e al futuro, dal punto di vista artisico e culturale. Quel fervore però non c’è più, manca tutto su questo fronte: non c’è un teatro, il Cmm è ingestibile, la Casa delle musiche è chiusa, così come ha chiuso l’università (il corso di scienze e tecnologie della produzione artistica, ndr). Mancano non solo prospettive ma soprattutto spazi per esprimere l’arte, tanto che molti miei allievi, anche molto bravi, non sanno dove suonare. Da insegnante, ma anche da papà, questa situazione per me è molto avvilente anche perché non si vedono spiragli e l’appiattimento è fortissimo, più accentuato in una città di provincia che altrove. Eppure sono convinto che se ce ne fosse la possibilità la città risponderebbe entusiasta. Sarebbe anche un’occasione di business importante, perché anche l’arte lo è».

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