Terni: «Da cinque anni non vedo mio figlio»

Il dramma di una 48enne di origini ternane che vive nel viterbese: «Il giudice ha stabilito l’affidamento condiviso ma nessuno lo fa rispettare. Ho perso fiducia nella giustizia»

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Il dramma di una madre che da cinque anni non riesce ad avere alcun contatto con il figlio ormai adolescente (che chiameremo Paolo, un nome di fantasia ndR) e che, stanca di rivolgersi ai tribunali senza ottenere nulla, ha deciso di raccontare la sua storia che affonda le radici – come spesso capita in casi del genere – nel profondo conflitto con l’ex marito da cui è divorziata. La donna ha 48 anni, è originaria di Terni e da tempo vive sul litorale della provincia di Viterbo.

Affidamento condiviso «Seppure ormai divorziati – racconta la donna – io e il mio ex coniuge siamo ancora in causa di fronte al tribunale di Civitavecchia per definire i termini di frequentazione di Paolo e in particolare il mio percorso di riavvicinamento. Il giudice ha stabilito un affidamento condiviso ma né il mio ex né tanto meno il tribunale stanno facendo nulla per rispettare e far rispettare quanto deciso. Si va avanti di rinvio in rinvio ma il mio ex marito continua a comportarsi come se non esistessi e non fossi sua madre, prendendo unilateralmente anche decisioni importanti che riguardano nostro figlio».

Alienazione genitoriale «Attraverso una consulenza tecnica disposta dal tribunale – spiega la 48enne ternana -, lo psichiatra incaricato ha rilevato un’alienazione genitoriale. Un disturbo purtroppo frequente quando si parla di separazioni conflittuali in cui un genitore non fa altro che denigrare l’altro, condizionando pesantemente il figlio ‘conteso’ che finisce per odiare il genitore colpito, fino a ‘cancellarlo’ completamente dalla propria vita. Non è un caso che in passato sia arrivato al punto di chiamare ‘mamma’ la compagna del mio ex. Tutto ciò è gravissimo, considerando poi che in questo tempo non è mai emerso nulla che possa giustificare un affido esclusivo quale, di fatto, è quello di Paolo».

«Darò battaglia» «Il vero scandalo – denuncia la donna – è che storie umane come la mia vengano trattate nei tribunali come semplici fascicoli da lavorare e, se possibile, da archiviare senza trovare valide soluzioni. Non intendo però fermarmi: andrò avanti per fare in modo che la mia storia, come quella di tanti altri genitori privati ingiustamente dei loro diritti da una giustizia troppo blanda, non venga archiviata. Io e mio figlio siamo persone e non un fascicolo di documenti. Siamo stati due corpi e un’anima sino a quando lui aveva 10 anni e poi l’allontanamento senza motivo plausibile, se non l’interferenza negativa del padre e della sua nuova famiglia. Una guerra nei miei confronti, un volermi far soffrire a tutti i costi privandomi dell’amore di Paolo, senza rendersi conto delle gravi problematiche che tutto ciò porta con sé».

«Sofferenza senza fine» «Ho fatto di tutto – spiega la donna ternana -, ho bussato a tutte le porte ed ora mi rimane solo questa strada per far conoscere il malfunzionamento della giustizia italiana. Gli stessi assistenti sociali, informati della situazione, hanno lasciato trascorrere tutti questi anni senza mai verificare la vita condotta da Paolo e l’alienazione da parte del padre. L’applicazione del diritto di famiglia ha tante lacune: mancanza di strutture appropriate, professionisti incaricati dei casi con pochissimo tempo a disposizione e giudici che lavorano le pratiche facendo a scaricabarile pur di smaltire lavoro. Ma ciò che per loro è ordinaria amministrazione, se così vogliamo definirla, per ogni singola madre o padre privati dei propri diritti è un universo di sofferenza, una realtà lancinante e contro natura».

Il ‘muro’ «In tutti questi anni non ho mai avuto notizie di mio figlio – racconta la donna – mai comunicazioni sul suo stato di salute, sulle sue scelte o sulla sua vita in generale. Pochissime sono le notizie che riesco a reperire così come le foto che mi vengono inviate di nascosto da amici che comunque temono le reazioni del mio ex coniuge. Anche la Cresima è stata fatta a mia insaputa, da solo e fuori dalle date prestabilite perché non partecipassi. C’è un muro tra me e mio figlio che nessuno ha interesse a demolire, spesso giustificandosi con mancanza di tempo e mezzi. Allora perché esistono le leggi se non si fanno rispettare? Nessuno potrà mai ridarmi il tempo perduto e non voglio che questa storia rimanga insoluta nel dimenticatoio delle ingiustizie. Per questo ho deciso di parlarne».

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