Terni, omicidio Bellini: confermati 30 anni

La corte d’assise d’appello di Perugia ha lasciato inalterata la pena inflitta in primo grado al 45enne ucraino Andriy Halan

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La corte d’assise d’appello di Perugia ha confermato la pena inflitta in primo grado – 30 anni di reclusione con rito abbreviato – legata alla sentenza dello scorso febbraio dal tribunale di Terni, giudice Massimo Zanetti, nei confronti del 45enne ucraino Andriy Halan, accusato dell’omicidio del 53enne ternano Sandro Bellini, scomparso da casa il 18 maggio del 2016 e ritrovato senza vita undici giorni dopo, nelle acque del Velino.

Nessuno sconto quindi per l’omicida: in aula, mercoledì mattina, la procura generale – rappresentata da Dario Razzi – ha chiesto la conferma del giudizio emesso dal tribunale di Terni – omicidio volontario aggravato da premeditazione e futili motivi, daneggiamento e occultamento di cadavere – mentre i difensori del 45enne, gli avvocati Francesco Mattiangeli e Bruno Capaldini, hanno spiegato, come per loro, si sia piuttosto trattato di un ‘concorso anomalo’ in omicidio, con esclusione delle aggravanti.

Andiy Halan con i suoi difensori

La difesa Un punto di vista sostenuto con dovizia di particolari ma che la corte – presieduta da Giancarlo Massei e composta da Fabio Massimo Falfari e dai giudici popolari – non ha accolto. Alla base della linea difensiva, la versione fornita dall’omicida dopo l’arresto operato dai carabinieri del comando provinciale di Terni, in base alla quale Andriy Halan avrebbe assoldato due soggetti non meglio precisati per dare una ‘lezione’ al Bellini, ‘reo’ di frequentare la sua ex compagna.

Esclusa la premeditazione Nel giudizio di secondo grado la corte d’assise d’appello di Perugia ha escluso l’aggravante della premeditazione, confermando i futili motivi alla base del delitto, senza concedere attenuanti. Il risultato è comunque una pena pari a 30 anni di carcere che saranno le motivazioni a spiegare dettagliatamente.

I familiari del termoidraulico 53enne ternano, assistiti dall’avvocato Renato Chiaranti, hanno sempre chiesto ‘giustizia’, ricordando il proprio caro come una persona «buona e che mai avrebbe fatto male ad una mosca». Per i difensori dell’operaio ucraino, invece, la prospettiva è quella del ricorso per Cassazione.

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