Terni, omicidio Bellini: «Non sono stato io»

Andriy Halan, il 45enne condannato in primo grado a 30 anni, punta tutto sull’appello: in campo gli avvocati Mattiangeli e Capaldini

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di F.T.

Andriy Halan, il 45enne ucraino arrestato dai carabinieri e condannato per l’omicidio del 53enne ternano Sandro Bellini, gioca la carta dell’appello per vedersi ridotta la pena – 30 anni di reclusione con rito abbreviato – inflitta in primo grado, lo scorso 23 febbraio a Terni, dal giudice Massimo Zanetti. I legali dell’uomo – gli avvocati Francesco Mattiangeli e Bruno Capaldini – hanno infatti impugnato la sentenza di fronte alla corte di assise d’appello di Perugia, depositando il ricorso. La data dell’udienza verrà fissata nelle prossime settimane.

Sandro Bellini

OMICIDIO BELLINI, UN ANNO DI DOLORE

Le ragioni Il primo argomento sostenuto dai due legali è strettamente tecnico e riguarda tanto le aggravanti – la premeditazione e l’aver agito per motivi abietti e futili – quanto l’accusa di occultamento di cadavere, contestate dal pm Tullio Cicoria nell’ambito del giudizio abbreviato. Una modifica sostanziale dell’imputazione che, per gli avvocati Mattiangeli e Capaldini, non poteva essere effettuata senza ulteriori prove o in assenza di fatti nuovi rispetto a quelli già contestati.

OMICIDIO BELLINI: «UN UNICO COLPEVOLE»

Le ricerche

I fatti Nel merito, poi, i due legali si soffermano sullo sviluppo del procedimento e su come la ricostruzione dei fatti offerta da Andriy Halan sin dall’arresto, non sia stata – a loro giudizio – smentita né contraddetta da quanto emerso nel processo. Nel mirino ci finisce così il mancato svolgimento di tutta una serie di accertamenti tecnici sul telefonino in uso al 45enne ucraino che «avrebbero potuto condurre all’individuazione dei soggetti indicati dall’imputato come autori dell’omicidio, e ad apprezzare l’attività collaborativa di Halan che, fino all’accadimento dei fatti per cui è finito a processo, era incensurato e non era mai stato coinvolto in alcuna problematica di natura penale».

Andriy Halan, l’omicida (foto Mirimao)

La versione Il presunto omicida ha sempre dichiarato di aver conosciuto due uomini, presumibilmente di nazionalità rumena, in un bar di viale Brin e di averli ‘ingaggiati’ – 1.500 euro il compenso pattuito – per spaventare e minacciare Sandro Bellini, ‘reo’ di frequentare la donna di cui era ancora innamorato. Per indicare senza margini di dubbio la persona da ‘colpire’, Andriy Halan avrebbe scattato una fotografia all’auto di Sandro Bellini, trasferendola poi via bluetooth ai telefoni cellulari dei due soggetti, dei quali l’ucraino non ha mai fornito elementi certi e precisi per risalire alla loro identità, salvo una generica descrizione.

Il giudice Massimo Zanetti (foto Mirimao)

Il telefono cellulare Una foto dell’auto della vittima, con tanto di targa visibile, è stata effettivamente trovata dagli inquirenti nel telefono del presunto omicida, ma – secondo i legali – «nonostante le ripetute richieste, durante le indagini preliminari non è stato effettuato alcun accertamento per capire se l’immagine sia stata inviata o meno. Ciò è, teoricamente, ancora possibile, anche se il lungo periodo di inattività del dispositivo ha ridotto significativamente le possibilità di riuscita dell’operazione». Da qui la richiesta di una nuova perizia che consenta di analizzare il ‘file di log’ del telefono di Andry Halan.

Gli avvocati Mattiangeli e Capaldini

Il racconto Quest’ultimo, interrogato dal gip di Terni in seguito all’arresto, aveva ricostruito così la prima parte della mattina – era il 18 maggio del 2016 – in cui si era consumato l’omicidio del termoidraulico 53enne ternano, nei pressi della sua abitazione di via Rosselli: «Ero a piedi nelle vicinanze dei cassonetti che si trovano vicino alla scuola e accanto al ponticello ho visto i due rumeni che aspettavano che Sandro uscisse di casa e salisse in macchina, quindi sono saliti a bordo anche loro. Vista la distanza non ho percepito cosa è successo dentro la macchina. Loro, sapendo dove mi trovavo, sono usciti dall’auto e mi sono venuti incontro. Mi hanno detto che avevano fatto quello che gli avevo chiesto quindi gli ho dato i 500 euro (saldo dei 1.500 pattuiti, ndR) e loro hanno detto: ‘Vai lì che il resto sono affari tuoi’. Uno dei due era quello che parlava di più. Io mi sono avvicinato alla macchina e ho visto Sandro seduto al posto di guida ma con il busto riverso verso il sedile passeggero e con molto sangue sulla testa».

L’auto di Sandro Bellini, data alle fiamme

L’incendio dell’auto Ciò che sarebbe accaduto dopo, viene ricostruito dagli avvocati Mattiangeli e Capaldini: «Innanzi a questo scenario, Halan è stato sopraffatto dal panico e, piuttosto che avvertire le forze dell’ordine, ha agito in modo assolutamente irrazionale. Si è messo alla guida dell’auto della vittima, percorrendo il tragitto che era solito fare per recarsi al lavoro e, lungo la strada, ha celato il corpo nel fiume Velino, trascinandolo fuori dall’auto che poi ha incendiato. Addirittura è stato talmente sconvolto da conservare gli indumenti che aveva indosso e che sapeva essere intrisi di tracce ematiche della vittima. Comportamento questo ben distante da un’eventuale premeditazione».

Il pm Tullio Cicoria e l’avvocato Renato Chiaranti

«Sentenza da rivedere» Contestando i mancati accertamenti, la modifica del capo di imputazione ed i contenuti della sentenza – in particolare le aggravanti della premeditazione, dell’aver agito per motivi abietti e futili e la mancata concessione delle attenuanti generiche – i legali del 45enne ucraino chiedono alla corte d’assise di appello di riformare quanto emerso nel giudizio di primo grado. Di contro, procura e parti civili – quest’ultime assistite dall’avvocato Renato Chiaranti – insisteranno per la piena conferma della sentenza.

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