Terni, piastra logistica: «Debolezza politica»

Alfredo De Sio (FdI-An) commenta le parole del senatore Gianluca Rossi: «Incapacità di chiedere e ottenere nei luoghi che contano ciò che è strategico per il sud di questa regione»

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Alfredo De Sio

di Alfredo De Sio
componente dell’Esecutivo nazionale di FdI-An

Ho letto con interesse le osservazioni del Sen. Gianluca Rossi sul sistema territoriale infrastrutturale legato alla logistica della distribuzione di merci e produzioni e sulla stretta connessione con il livello superiore dei grandi centri intermodali che fungono da hub nazionali ed internazionali.

Una fotografia puntuale tra prospettive e criticità e sulla quale in relazione all’infrastruttura realizzata a Maratta tra Narni e Terni, non è mai mancato personalmente e politicamente sostegno e condivisione almeno fino al momento in cui la coerenza delle istituzioni a partire dalla Regione Umbria, ha lasciato il campo alla schizofrenia delle posizioni, alla relativizzazione delle strategie e alla debolezza dell’azione amministrativa.

Una piastra logistica non è né di destra né di sinistra e perciò la mia non vuol essere una polemica sterile ma la constatazione amara che, dopo anni di incredibile immobilismo sul tema, oggi si scopra alla luce di una lettura nazionale l’importanza di una rinnovata centralità di questa infrastruttura che non ha mai funzionato e che, nelle diverse difficoltà che ha incontrato in questi anni, dalla mancanza dei fondi iniziali per l’adeguamento tecnico alla ancora invisibile interconnessione con il sistema ferroviario, è forse l’emblema più evidente della debolezza politico istituzionale del nostro territorio.

Già, perché dietro l’esposizione non a caso asciutta e circostanziata del sen. Rossi, ci sono evidenti responsabilità di natura politica amministrativa che attengono l’incapacità di reclamare ed ottenere nei luoghi che contano ciò che è strategico per il sud di questa regione e non solo e che rimangono tra le righe delle sue osservazioni.

Il percorso di questi anni non è solo il frutto di ritardi inaccettabili, ma anche politiche sbagliate se è vero che esattamente cinque anni fa la regione dell’Umbria decideva contro il nostro parere la sua fuoriuscita dall’Interporto di Orte trainando il gregge delle altre istituzioni che di li a poco avrebbero fatto altrettanto. Una scelta stupida, proprio nella visione globale, oggi ribadita, dell’interconnessione tra piastre territoriali e sistemi intermodali di grandi dimensioni ma che il Governo regionale reputava invece come necessaria.

Una scelta quella di uscire dall’interporto di Orte, da tutti identificato come l’interporto logistico di quel corridoio che dal porto di Civitavecchia varca il mediterraneo, ancora più assurda ora alla luce delle difficoltà del progetto di Jesi che tante attenzioni benevole invece aveva raccolto proprio dalla Regione Umbria. Se da un lato occorre guardare avanti senza indulgere in autoflagellazioni, dall’altra non è possibile minimizzare come se il tempo perso fosse stato senza conseguenze.

Già, perché da anni oramai è invalsa questa lettura nella nostra regione e cioè che il mondo cambia così velocemente che non aver realizzato ciò che serviva all’economia del territorio “ieri” sia quasi un merito, perché ci consente di potere realizzare un “domani” più all’avanguardia, omettendo però il piccolo dettaglio che nel frattempo abbiamo bruciato “l’oggi” di tanti giovani, lavoratori, piccole e medie aziende.

Ecco perché ,in questa calura estiva dove si consuma senza tanti sussulti la chiamata per i progetti dell’ “ area di crisi complessa” (la cui risposta ci fornirà la dimensione delle potenzialità dello strumento), giova ricordare perciò che il tempo perso non è mai a costo zero e che, a fronte di una Piastra Logistica oggi inutilizzata, c’è stata la miopia politica e non solo simbolica di uscire dall’interporto di Orte e pure il fallimento della mission del “Consorzio delle aree industriali “ nel frattempo cancellato ed inghiottito da debiti che hanno visto la Regione sborsare diversi milioni di euro lasciando l’eredità di un tessuto produttivo sempre più debole e ripiegato su se stesso .

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