Terni, teatro Verdi: battaglia sul progetto

Altro confronto sull’iter di restauro e adeguamento. Cinti: «Poletti? Anacronismo puro, guardatevi intorno». Sgarbi: «Toccare il teatro è da criminali»

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di S.F.

Copertura, Poletti, costi e tempi di un percorso che, come in molti altri casi, si sta dimostrando più che farraginoso. Unità d’intenti? Mica tanto a giudicare dalla nuova ‘puntata’ sul teatro Verdi andata in atto martedì mattina in sede di I° commissione consiliare: tra richieste di certezze e urla varie – presenti anche l’assessore ai lavori pubblici Stefano Bucari e il Rup Mauro Cinti – non sembra esserci un’aria così rosea sulla questione. Si parte dalla premessa del 62enne architetto, il ‘front-line’ dell’operazione: «Ipotesi ‘polettiana’? Anacronismo totale e insostenibile a livello culturale». E giù di battaglia a suon di numeri, vecchie delibere e annunci più o meno concreti.

IL RUP MAURO CINTI: «ECCO COME CI MUOVIAMO. IPOTESI POLETTIANA? PURO ANACRONISMO, UTOPIA»

Il Rup Mauro Cinti spiega gli interventi strutturali

Le buone premesse Commissione ‘fiume’ di oltre due ore, con avvio in pace e sviluppo più focoso dopo l’intervento di Bucari e del rup Cinti. Intanto giovedì l’amministrazione comunale incontrerà la fondazione Carit – presidente Luigi Carlini – per cercare i fondi (si parla di circa 30 mila euro) in ottica di uno studio di fattibilità concreto e tangibile per la struttura: volano numeri, ipotesi e presunti costi per ognuna delle possibilità esistenti, mancano però le basi. Enrico Melasecche (IlT) ha ricordato le buone impressioni avute dopo il round in consiglio comunale: «Finalmente unità d’intenti», le sue parole a metà febbraio, facendo tuttavia riferimento alla questione legata al tetto – «più basso di quattro metri rispetto al modello ‘Poletti’, questo è previsto nello schema di ristrutturazione» e alla necessità di capire se c’è modo di modificare gli stralci dei lavori. In merito si scatenerà la bagarre da lì a poco. Non prima però che il capogruppo del Pd, Andrea Cavicchioli, dichiarasse che «ho riscontrato una significativa unità d’intenti». Quando diceva queste cose, però, non sapeva che poco dopo sarebbe arrivato Vittorio Sgarbi: «Chi tocca il teatro è un criminale – ha ringhiato il critico d’arte – e se fanno errori io non avrò pietà e sarà peggio del terremoto».

IL ‘SILURO’ DI VITTORIO SGARBI – IL VIDEO

La richiesta d’aiuto Su una cosa tutti d’accordo. Indispensabile – anche perché di soldi, il Comune di Terni, non ne ha troppi in linea di massima – l’intervento della fondazione Carit e della Regione, altrimenti «senza il coinvolgimento di diversi soggetti e, di conseguenza, di un certo tipo di risorse poco si fa» ha sintetizzato Cavicchioli. Il capogruppo Pd poi ci tiene a ribadire che «l’ipotesi cinema-teatro non sta né in cielo né in terra, un discorso che vale per tutti e non solo per Terni. La realtà è che occorre uno studio di fattibilità che indichi prospettive e richieste di mercato. Per quel che concerne l’appalto in essere, non ci possiamo permettere quelle risorse». Contrattacco immediato di Patrizia Braghiroli (M5S) in riferimento alle parole sulle buone intenzioni: «Cavicchioli, stesse parole le hai dette due anni e mezzo fa. Tali e quali, l’appalto prosegue perché voi non avete fanno nulla in questo periodo. Chiediamo che sia definito un cronoprogramma entro trenta giorni».

LAVORI PROPEDEUTICI, VIA LE POLTRONCINE

Passi falsi e gare a stralcio Più sintetico l’intervento di Franco Todini (Il Cammello), che ci tiene a sottolineare come «non ci possa più permetteri di fare passi falsi sul teatro Verdi; noto che c’è una dicotomia tra le parole del capogruppo Pd e l’azione dell’amministrazione. La domanda resta sempre la stessa: perché fare delle gare a stralcio senza un progetto definitivo?». Marco Cecconi (FdI-An) mette sul tavolo dati e numeri: «Il Comune di Terni ha a disposizione 2 milioni e 900 mila euro per l’intervento, 1,5 dei quali provenienti dalla Regione. E gli altri? Il ‘teatro all’italiana’ costa circa 40 milioni di euro e garantisce 900 posti, di cui solo la metà in piena visibilità con il palco; il cosiddetto ‘teatro moderno’ costerebbe 20milioni a fronte di 850 posti tutti in piena visibilità. Quando si intende decidere e cosa si pensa di fare, in un’ottica di economicità, efficienza e tempestività? E perché inserire all’improvviso 100 mila euro niente affatto dovuti, per lo spostamento di quelle poltroncine che nella fase attuale non interferiscono affatto con i lavori da fare e per quello spostamento delle utenze che era già stato concordato con i gestori come completamente a loro carico? Chiedo in primis al sindaco cosa intenda fare per procedere sollecitamente all’avvio dei lavori strutturali. Per selezionare la ditta aggiudicataria fra le dieci offerte pervenute, ci sono voluti chissà perché ben due anni, ma ora non c’è davvero più tempo da perdere».

IL CONSIGLIO COMUNALE APERTO SUL VERDI

Andrea Cavicchioli

«Aspetta per la campagna elettorale» Braghiroli vs Cavicchioli, uno dei temi della mattinata. Perché l’esponente ‘grillina’ allarga il discorso – il capogruppo Pd aveva citato il palasport poco prima – al palazzetto e al bando per il camposcuola ‘Casagrande’: «Sono due anni che deve uscire, dove sta?». Immediata replica – col sorriso – di Cavicchioli: «Per la campagna elettorale potete aspettare ancora, no?». Il siparietto cala quando Melasecche azzanna sui costi ipotizzati da Cecconi: «Basta con queste leggende, fare lo studio di fattibilità serio». Il presidente di commissione, Faliero Chiappini (Città aperta), cerca di spegnere la situazione invocando il «riaggiornamento». E no, perché devono parlare Bucari e Cinti.

Marco Cecconi

Anomalie e ritardi Parola dunque all’assessore: «Giovedì ci incontriamo con la fondazione Carit per cominciare ad affrontare un percorso credibile e sostenibile. I nostri atti nel corso degli anni dimostrano l’intenzione di far bene sul Verdi, a partire dai 2 milioni e 900 mila euro per l’intervento strutturale. Purtroppo ci sono state delle anomalie a partire dal gennaio 2015, tra le quali le dimissioni del Rup; la variante Andreani – più volte tirata in ballo – prevedeva nel piano di recupero l’aumento dell’altezza. Verificammo – replica a Melasecche – che non fu possibile stralciare-modificare l’oggetto della gara per motivi giuridici, nella fattispecie il tetto». Pronta la Braghiroli: «Che c’entra il piano di recupero? Era una variante». Bucari prosegue senza batter ciglio: «Al momento siamo in una fase di programmazione del futuro del Verdi, con lo sviluppo di uno studio di fattibilità. Ricordo – conclude – che il teatro Verdi è inserito all’interno di ‘Art bonus’». Palla infine a Cinti, dopo il pressing di alcuni consiglieri nei confronti di Chiappini per dargli la parola. Che smentisce Bucari pur avvertendo che si tratta di uno scenario molto rischioso, in primis per lui stesso: «Modificare lo stralcio legato alla copertura? Una scelta che non escluderebbe l’intervento della Corte dei Conti per la valutazione di eventuali situazioni per variare la gara. Giustificare un mancato affidamento per ‘fare un teatro ottocentesco’ diventa un cammino franoso. Oltretutto serve un vero mandato alla giunta e non un atto d’indirizzo. Servono scelte rapidissime perché, in linea teorica, potremmo già fare il contratto in data 4 aprile, è il primo giorno utile».

Mauro Cinti

Lotti e step Cinti va nel dettaglio e sottolinea che «lo schema, approvato dalla giunta e dal consiglio, prevede l’intero risanamento della struttura così come è adesso, c’è il 1° lotto che riguarda la torre scenica e la copertura (parte del 1° stralcio). Non c’è una invece una programmazione relativa all’arredamento, alle uscite di sicurezza, all’impiantistica e al puro aspetto architettonico: in definitiva è un primo step per arrivare ad avere un teatro compiuto. L’ipotesi è quella della conservazione, di questo si parla. L’appalto avrà un contratto di 1 milione e 868 mila euro, con un ribasso del 38% e non c’è il problema della ‘scadenza’ di novembre. Cinema-teatro? Non c’è da nessuna parte questa ipotesi».

L’aspetto politico Linea netta per il rup su una delle questoni più ‘calde’: «Poletti? Non mi azzardarei a sostenere questo totale anacronismo dal punto di vista culturale. Se si chiede un teatro moderno e pensare di farlo in stampo ottocentesco è come dire ‘voglio una macchina con il satellitare e frenata assistita, ma farla come quella degli anni ’20’. L’amministrazione può decidere in autonomia anche di non procedere con l’appalto in essere, lo sanno tutti: certo, fare questa azione o andare avanti in maniera parziale rispetto a ciò che prevede l’appalto presuppone valutare costi aggiuntivi. Oltretutto occorre una totale giustificazione tecnica, non è quella politica che interessa. Serve un senso, se si trova tutte le strade sono possibili. La variante? Prevista dalla norma, sì, ma vorrebbe dire che c’è stato qualche errore di valutazione in avvio di processo e va dunque evitata. Se poi la variante deriva da un cambio d’idea dovuto per questioni di carattere politico o di ‘sensorio comune’ è chiaro che la giustificabilità viene meno».

Enrico Melasecche e Stefano Bucari

L’utopia e la vera domanda Ulteriore ‘gelo’ sull’idea di struttura ottocentesca: «Parlare di ipotesi ‘polettiana’ è utopia perché il teatro è andato avanti. Se uno esce dal guscio della città si accorge delle strutture che ci sono a Torino o Firenze: sono teatri contemporanei e fanno diverse produzioni. Invece di andare su facebook a dire sciocchezze, perché non si guarda cosa c’è in giro nel mondo? Teatri ottocenteschi con le colonne d’oro? Sì, quelle originali. Chi si sognerebbe di rifarne uno adesso perché tecnicamente è fattibile? Ritengo che sia insostenibile a livello culturale. Tuttavia nel dibattito ci può stare, ok, parliamone, ma la domanda reale da fare è se il teatro Verdi, così come si trova, possa essere implementato con le nuove tecnologie di ripresa. La risposta è affermativa. Può essere fatta una correzione acustica perfetta? Sì. Può essere adeguato il numero dei posti? Sì. In definitiva, ripeto, la concezione ‘polettiana’ è semplicemente anacronistica». Altro giro altra corsa, di condivisione e unità se ne vede poca.

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