Umbria: «Segnali positivi ma tanti nodi»

Conferenza regionale dell’economia e del lavoro. Restano carenze sul fronte produttivo e manageriale. Ma anche infrastrutturale

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È un quadro economico-occupazionale in movimento quello emerso dai primi contributi e relazioni che hanno aperto i lavori della conferenza regionale dell’economia e del lavoro che, inizialmente prevista a Terni, è stata spostata a Perugia nella sede di palazzo Cesaroni. Il profilo è quello di una regione che si caratterizza per segnali di ripresa ma anche per l’esigenza di interventi strutturali in un contesto globale che richiede qualità, innovazione e nuovi modelli di organizzazione del lavoro.

L’obiettivo

I lavori sono stati aperti dalla presidente del consiglio regionale dell’Umbria, Donatella Porzi, che ha sottolineato positivamente il confronto aperto fra imprese, sindacati e istituzioni: «Obiettivo è costruire insieme proposte da trasformare poi in leggi ed atti di programmazione sempre più adeguati».

CGIL TERNI: «CRISI SENZA FINE»

Il quadro, progressi e nodi da sciogliere

Dalle analisi di Bruno Bracalente e Alessandro Montrone dell’università di Perugia, incentrata sui livelli di produttività delle imprese umbre rispetto alla macro area che include anche Toscana e Marche, sono emersi progressi dal punto di vista della manifattura ma anche diversi nodi da sciogliere. «Le imprese umbre, anche quelle eccellenti è stato detto – investono poco, in media, in asset strategici per la competitività aziendale quali marchi, brevetti, ricerca e sviluppo. Più che un problema di scarsa dimensione aziendale, tra le imprese eccellenti della regione vi è forse un problema di scala di produzione eccessiva rispetto a quella tecnicamente efficiente. Questo può essere ricondotto alla conformazione di un sistema produttivo che privilegia imprese che tendono a integrare al loro interno processi produttivi anche complessi, e quindi a una specializzazione produttiva non sufficientemente ‘spinta’, a differenza delle imprese tipiche dei sistemi distrettuali fondati sulla integrazione di fasi produttive specializzate facenti capo a imprese diverse. Le imprese umbre a bassa produttività, oltre ad essere proporzionalmente troppo numerose, sono anche mediamente più fragili e quindi maggiormente esposte al rischio di uscire dal mercato».

Il valore delle piccole imprese

Alberto Cestari del centro studi ‘Sintesi’ ha parlato del valore della piccola impresa in Umbria: «Le piccole e micro imprese, con meno di dieci dipendenti, rappresentano la base del sistema economico nazionale e quindi anche dell’Umbria. Tra il 2012 e 2017 l’Umbria ha perso quasi 2.900 imprese, con una contrazione del 3,5%. Nel 2017 il 95,4% delle imprese umbre aveva meno di dieci addetti. Durante la crisi si è verificata la crescita di imprese dei servizi e dell’alloggio e ristorazione. Un rilevante calo ha riguardato le costruzioni (-12,8%), l’agricoltura (-6,1%), trasporti (-5,9%) e la manifattura (-5,5%). Le imprese con meno di dieci addetti rappresentano il 38,3% del valore aggiunto totale a livello regionale, vale a dire 3,2 miliardi di euro. In un quadro di sintesi finale della micro impresa in Umbria, emerge che le imprese attive sono 76.585 (95,4%), gli addetti sono 119.421 (52%), il valore aggiunto equivale a 3,2 miliardi di euro (38,3%), le assunzioni previste sono 20.680 (42%)».

Dal mercato del lavoro «segnali positivi»

Sul tema del mercato del lavoro in Umbria è intervenuto Luigi Rossetti, direttore regionale attività produttive: «Tra il 2008 e il 2014 si è registrata una contrazione occupazionale (-18 mila unità) e una crescita della disoccupazione (da 18 a 44 mila unità). Nel 2015 c’è stata un’importante crescita dell’occupazione (+11 mila) mentre nel 2016, a seguito principalmente del terremoto, si è registrata una nuova flessione (-6 mila unità). Nel 2017 l’occupazione ha avuto unalieve ripresa, ma gli effetti della crisi e delle conseguenze del terremoto sono ancora visibili. Nel secondo trimestre del 2018 il mercato del lavoro umbro mostra segnali positivi: crescita dell’occupazione di 5 mila unità (+1,5%) che arriva a quota 358 mila e una marcata flessione della disoccupazione che scende a quota 35 mila con una diminuzione maggiore di quella nazionale. I dati Inps rilevano che nel primo semestre 2018 la crescita del tempo indeterminato in Umbria è la più elevata del paese, così come l’incremento dell’apprendistato».

BOCCIA: «IN UMBRIA PIÙ INFRASTRUTTURE»

«Superare le carenze strutturali dell’economia umbra»

Il vice presidente della Regione, Fabio Paparelli, si è invece soffermato sulle politiche industriali per lo sviluppo: «È necessario costruire un nuovo patto per il lavoro e la crescita dell’Umbria – ha detto – dove ciascun attore possa fare la propria parte rispetto ad una visione condivisa dello sviluppo regionale. La crescita e lo sviluppo di un sistema territoriale non dipendono solo da ciò che si è in grado di fare all’interno di esso, ma sono interdipendenti da ciò che accadrà in Italia ed in Europa. Una strategia territoriale efficace non può prescindere da una visione di scenario di medio-lungo periodo e dal fatto che siano, coerentemente, compiute delle scelte mirate e concrete, investendo sulle eccellenze e sulle competenze presenti sul territorio e rimuovendo, al contempo, i fattori che inibiscono la valorizzazione del pieno potenziale. Si devono individuare priorità d’azione, chiare e limitate nel numero, innovative. Per perseguire scelte di politica industriale e di sviluppo è necessario avere una visione dello sviluppo dell’Umbria da tradurre in obiettivi chiari e misurabili». Per Paparelli lo sviluppo non può prescindere da temi quali «innovazione e sostenibilità, superando i nodi strutturali del sistema economico regionale come quello relativo alla scarsa produttività di alcune realtà. Dobbiamo concentrare politiche e strumenti su alcuni macro obiettivi: sostenere innovazione tecnologica, ricerca e sviluppo, migliorare l’allocazione del capitale finanziario e innovare le modalità di gestione della funzione finanziaria e della struttura patrimoniale delle imprese, superare il ritardo nella digitalizzazione del sistema produttivo, guardare ai mercati internazionali, qualificare le risorse umane comprese quelle imprenditoriali e manageriali, sviluppare e consolidare le infrastrutture materiali ed immateriali».

Dalle infrastrutture alla disoccupazione giovanile: «La abbatteremo di un terzo»

«Le grandi trasversali di collegamento con le Marche ed i corridoi intermodali dell’Adriatico – ha detto poi il vicepresidente della Regione – aprono una porta verso i Balcani e l’Oriente e, insieme al completamento della Orte-Civitavecchia, portano quasi a completamento la trasversale Tirreno-Adriatico, specie se troveranno spazio in futuro la Tre Valli e l’adeguamento della Flaminia. Allo stesso modo l’adeguamento della E45, le interconnessioni con le dorsali dell’alta velocità, l’infrastruttura ferroviaria regionale di collegamento tra Terni e Perugia, lo sviluppo dell’aeroporto, oltre ad altri interventi di scala subregionale dedicati alla logistica ed alla loro connessione con il sistema ferroviario, rappresentano programmi di intervento fondamentali per ampliare la competitività e la produttività del sistema Umbria». Circa le politiche del lavoro, «dopo ‘Garanzia giovani’ e dopo il programma ‘Umbriattiva’, che sta riscuotendo grande successo sia tra i giovani che tra gli adulti disoccupati con oltre 3 mila iscrizioni in pochi giorni, daremo una sferzata decisiva alla disoccupazione giovanile che possiamo e vogliamo abbattere in questa fine legislatura di almeno di un terzo, sui contratti a tempo indeterminato, cui la misura ‘Cresco’ ha dato un contributo non indifferente. Per questo – ha concluso Paparelli – saranno stanziati 15 milioni di euro tra reddito di sostegno per la ricerca attiva di lavoro, completamento del percorso formativo necessario all’ingresso nel mercato del lavoro e incentivi».

Bankitalia

Il dibattito che si è tenuto nel pomeriggio – concluso dall’intervento della presidente della Regione Catiuscia Marini — ha visto coinvolti rappresentanti di associazioni di categoria, del sindacato e delle istituzioni. Nicola Barbera, direttore della filiale di Perugia della Banca d’Italia, ha evidenziato come «il Pil dell’Umbria negli ultimi dieci anni è stato inferiore del 15% rispetto al decennio precedente, mentre a livello nazionale il calo è stato di poco più del 5%. Gli investimenti rappresentano il punto più debole e si ha la massima flessione con il 44% in meno, mentre il dato nazionale è sì in calo, ma del 21%. C’è stata una ripartenza – ha spiegato – ma la strada è molto lunga e incerta e servono interventi incisivi e sinergici per un vero rilancio. Per quanto riguarda l’economia umbra, gli ordini di
fatturato industriali sono soddisfacenti: bene le imprese che operano sui mercati esteri, per la prima volta aumenti anche per le piccole imprese. Segnali positivi nei servizi, ma non nel commercio, che è negativo; il turismo va bene, ma non nei comuni più colpiti dal sisma: i numeri assoluti fanno registrare un incremento di arrivi, ma le presenze complessive sono ancora quelle del 2006. L’edilizia soffre, la ricostruzione ancora non morde. Sul fronte creditizio vi sono segnali di rallentamento delle imprese umbre rispetto al dato nazionale perché molte hanno dovuto restituire i fondi messi loro a disposizione negli anni precedenti, elemento questo di freno e preoccupazione».

«Difficile trovare giovani adeguatamente formati»

Il presidente di Cna Umbria, Renato Cesca, ha parlato anche a nome di Confartigianato e Confcommercio: «La rimodulazione dei fondi europei 2014-2020 e dei fondi che arriveranno dal 2021 saranno le uniche risorse per le imprese. L’incremento di disuguaglianza e povertà genera mancanza di fiducia e paura e i giovani pagano il prezzo più alto. Va compresa la complessità di questa situazione e bisogna trovare il coraggio di avviare insieme una nuova fase di sviluppo. I nuovi driver dello sviluppo sono l’innovazione digitale e la sostenibilità. Serve una maggiore competitività di tutto il sistema imprenditoriale, creditizio e amministrativo, servono infrastrutture, migliore formazione per il lavoro a partire dalla scuola e migliore funzionamento della giustizia. Riteniamo fondamentale considerare che le imprese hanno problematiche differenti a seconda della loro dimensione e serve pertanto uno sviluppo ‘su misura’. Nonostante i vari tentativi, la distanza fra il mondo della scuola e quello delle imprese si è fatta ancor più ampia: è difficile trovare giovani adeguatamente formati».

«Imprese umbre hanno numeri importanti»

Il presidente di Confindustria Umbria, Antonio Alunni, ha sottolineato come l’industria umbra stia ottenendo «risultati e numeri importanti, dimostrando che questo territorio può essere competitivo. Siamo soddisfatti – ha aggiunto – che l’industria sia tornata al centro del dibattito. Il tema è quali scelte fare in tema di politiche regionali, e l’industria deve essere il punto primario di attenzione. La manifattura deve poter competere nel mercato globale ed avere una dimensione adeguata per accogliere i giovani che si formano nelle nostre università. Dobbiamo condividere gli obiettivi che vogliamo darci in termini sistemici ma bisogna agire con rapidità: dobbiamo essere veloci nel capire le traiettorie di sviluppo più importanti. Se cresce l’industria allora crescono anche il terziario, il commercio e la qualità della vita complessiva del territorio».

«Una sola Camera di commercio»

Giorgio Mencaroni di Unioncamere Umbria auspica che le Camere di commercio vengano presto unite: «Politiche separate portano a scarsi risultati e non hanno senso in una regione piccola come l’Umbria. Con i consorzi fidi si è persa un’occasione importante e non dobbiamo ripetere l’errore. In uno stato di grande debolezza come quello attuale è necessario che alcuni temi complementari vengano analizzati nella collaborazione tra Regione, Camere di commercio e altre istituzioni. Tema centrale sono le infrastrutture, in particolare Quadrilatero e aeroporto dell’Umbria».

I sindacati

Claudio Bendini (Uil Umbria) ha evidenziato come manchino «gli investimenti immateriali, tenendo conto che il futuro è fatto di innovazione che ruota attorno al piano Industria 4.0. La cultura del merito e della valutazione è troppo assente. Serve agire concretamente perché la crisi economica potrebbe trasformarsi in crisi sociale».  Così Filippo Ciavaglia (Cgil Umbria): «Un elemento centrale emerso è quello della bassa produttività. Per quanto concerne l’aspetto del lavoro si registra un aumento di quello precario. Aumenta il numero di persone che vivono da sole e questo incide nel welfare aggiuntivo. Come pure sono in aumento le diseguaglianze: circa 90 mila umbri vivono sulla soglia della povertà. La perdita di Pil rappresenta una zavorra e per raggiungere i livelli pre-crisi bisogna operare nell’insieme del sistema imprenditoriale regionale. Preoccupano le situazioni lavorative che interessano molti giovani. Bisogna collocarsi in un quadro europeo attraverso la messa a filiera dell’intero sistema». Riccardo Marcelli della Cisl Umbria ha rimarcato come «la crisi sta avendo effetti dirompenti che perdurano. Occorre ri-orientare il modello di sviluppo. Investimenti sì e qualificati, che mirano ad avere un capitale umano qualificato. Occorre portare avanti un ragionamento con le regioni perché i fondi europei prevedono la collaborazione e quando si parla di Tum, Toscana-Umbria-Marche, ricordiamoci che il comune di Terni guarda anche al Lazio e all’Abruzzo: teniamolo presente se gli sforzi devono essere fatti in maniera congiunta. L’Umbria ha presenza di importanti multinazionali che potrebbero essere una risorsa per favorire gli investimenti».

Sviluppumbria

Il direttore di Sviluppumbria, Mauro Agostini, spiega che «se scegliamo il Tum (Toscana, Umbria e Marche, ndR) come sistema integrato di sviluppo fra territori simili con enorme presenza della manifattura che incide molto sul Pil, proviamo a fare politiche integrate su temi comuni. Per il 2021-2027 con Toscana e Marche dobbiamo parlarci.  Produttività e redditività non sempre vanno insieme perché efficienza e redditività si contrappongono ai benefici immediati. Un pezzo delle imprese umbre con bassa produttività ha redditività molto elevata, ma apportano meno ricchezza sociale. A buona produttività sono associati qualità e remunerazione del lavoro e anche internazionalizzazione. Sulla produttività che è cresciuta ma c’è ancora un gap, si può intervenire con politiche pubbliche e private. In Umbria c’è un problema serio di managerialità che non riguarda solo il privato. È un problema trasversale che tocca anche la pubblica amministrazione. Perché questa storia che il problema della spesa pubblica sia tutto riducibile agli incrementi o tagli è una sciocchezza: spesso con le stesse risorse in entrata di spesa pubblica l’output è differente a seconda di chi le gestisce».

«Umbria laboratorio di sostenibilità»

Per Bernardoni (Legacoop) la questione centrale «è ricostruire una visione per l’Umbria da qui ai prossimi venti anni. Per dimensioni e competenze diffuse ci sono le condizioni per rendere l’Umbria un laboratorio di sostenibilità e riconvertire processi produttivi, ripensando i modelli di intervento. Il pubblico può moltiplicare le risorse, incorporando obiettivi di natura sociale e ambientale. Altra parola chiave è collaborazione, nel senso di costruire filiere, una vera economia di reti per competere. Quindi la partecipazione: nel secolo scorso c’è stata massima partecipazione in Umbria grazie a partiti e organizzazione cattoliche. Oggi si mette al centro il ruolo dei cittadini impegnati in prima persona nel prendersi cura dei beni comuni; questo potrebbe essere un tassello della trasformazione dei servizi pubblici. Altro termine chiave è velocità: i giovani che vogliono creare una start up si trovano davanti a un tempo minimo di tre mesi di attesa, che per loro sono un abisso. Si dovrebbe anche fare in modo che i beni pubblici, che al momento sono asset inutilizzati, diventino utili per costruire nuove imprese».

«Occasione utile: ci attendono sfide importanti»

A tirare le conclusioni, Catiuscia Marini: «Il confronto di oggi all’interno del Crel serve a condividere un percorso per aiutare l’Umbria ad aumentare la capacità produttiva delle imprese, rinforzare gli investimenti per l’innovazione e la ricerca in tutti i settori economici, a cominciare da quello manifatturiero che rappresenta, come i dati dimostrano, la dorsale della crescita e del lavoro di questa regione. La ricerca presentata oggi ha affrontato il tema della produttività come componente che favorisce il benessere per i cittadini. Dobbiamo estendere la fascia delle imprese in grado di aumentare la produttività. Questo tema lo dobbiamo aggredire anche sul ‘corpaccione’ del terziario tradizionale, per scalfire le difficoltà strutturali, sperimentando qualcosa di nuovo per portarlo nella parte più avanzata. Altro tema è come aiutiamo le imprese a far sì che ci sia più lavoro anche qualificato, ad assorbire la formazione mirata, i giovani lavoratori da inserire per la prima volta ma anche i lavoratori adulti. Con ‘Umbria Attiva’ – ha detto la presidente della Regione – abbiamo messo in campo qualcosa ma altre azioni vanno pensate. Le infrastrutture tecnologiche e digitali hanno influenza sulla produttività e sulla propensione all’innovazione. L’economia digitale può dare un contributo alla competitività del sistema economico e produttivo. Su questo abbiamo degli spazi di manovra. La sostenibilità ambientale è un aspetto su cui lavorare per arrivare ad un cambio tecnologico e di qualità della produzione. Nel bilancio noi confermiamo alcune politiche regionali di investimenti, anche grazie all’accordo Stato-Regioni che ha liberato risorse per infrastrutture, dissesto idrogeologico, patrimonio pubblico, sostegno a imprese con strumenti regionali. Sono preoccupata per Impresa 4.0: non si può pensare alla spesa sociale contrapposta alla crescita e lavoro. Insieme dobbiamo ribaltare l’approccio che pensa di poter fare sviluppo solo con le politiche di welfare. Nel ventesimo secolo abbiamo immaginato come tenere insieme sviluppo economico e coesione sociale. Oggi la sfida è se anche nel ventunesimo secolo possiamo farlo. Sono convinta di sì, ma forse la forma non è più quella che conoscevamo».

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