«Nessuno, e dunque neppure Arvedi Ast, in buona fede può assumersi la responsabilità di firmare un accordo che non contenga la soluzione, contingente e strutturale, del costo dell’energia, poiché comprometterebbe la competitività, lo sviluppo, il rilancio dell’azienda ed il futuro dei posti di lavoro».
TUTTO SU AST – UMBRIAON
Poche e lapidarie righe dell’amministratore delegato di Ast Dimitri Menecali, diffuse sabato mattina attraverso una nota, confermano quanto sia in salita, per non dire sbarrata, la strada verso la firma dell’accordo di programma per l’acciaieria. In poche parole: o si trova il modo di contenere i costi energetici, o non ci sarà nessuna intesa.
Un elemento, questo, che già chiaro da tempo ma che viene ulteriormente messo nero su bianco dalle parole dell’ad all’indomani dell’incontro in Regione in cui istituzioni locali e sindacati sono tornati a chiedere di chiudere l’accordo entro febbraio, come aveva prospettato il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso nell’incontro del 30 dicembre.
In più le organizzazioni sindacali di categoria, oltre ad aver proclamato lo stato di agitazione, hanno minacciato un pacchetto di otto ore di sciopero nel mese di marzo, qualora la firma non avvenisse entro febbraio. Insomma, la palla ora passa a Roma e ai ministeri competenti.

Duro l’assessore regionale allo sviluppo economico, Francesco De Rebotti: «Sono passati tre anni ma ci sono volute poche settimane per capire che la vicenda dell’accordo di programma è stata un’enorme perdita di tempo e una generale e infruttuosa pantomima. Fin da subito – osserva De Rebotti – è stato chiaro che l’incaglio fosse, come più volte ripetuto, il tema del costo dell’energia e i rinvii per la firma dei mesi scorsi, giustificati dalla prossimità delle elezioni regionali, si dimostrano oggi con evidenza solo un inutile e dannoso tentativo di procrastinare il nulla. Perché, è questa la verità, mai si sono costruite soluzioni che ne permettessero la definizione. Oggi la vicenda rischia di condizionare pesantemente il futuro di Ast, della tenuta occupazionale e del progetto industriale all’interno del quale sono contenuti importanti investimenti di matrice ambientale. Abbiamo testardamente inseguito possibili soluzioni al tema energetico, rimane in campo il percorso già avviato dalla Regione sul tema delle concessioni che può portare beneficio alle imprese umbre dal 2029 in poi. Ma ora è indispensabile, dopo la presa di posizione di Ast, riportare immediatamente la questione sul tavolo del governo. Non sono più permessi disimpegni per nessuno degli attori in campo. Lo dobbiamo ai lavoratori e alla comunità ternana e regionale. Questo – conclude l’assessore regionale – è il motivo che ci spinge a chiamare rapidamente a Terni i rappresentanti del parlamento italiano ed europeo. E a richiedere, come anticipato sopra, l’immediata convocazione del tavolo ministeriale su progetto industriale di Ast».

Il passo compiuto da Ast, sottoforma di dichiarazioni dell’amministratore delegato, ha portato anche ad un lungo e significativo intervento da parte dell’assessore comunale allo sviluppo economico, Sergio Cardinali. Che riportiamo di seguito: «Terni – afferma Cardinali – si trova di fronte a un bivio cruciale per il suo futuro industriale. Le recenti dichiarazioni dell’amministratore delegato di AST, Menegali, hanno stimolato un acceso dibattito: senza un abbattimento dei costi energetici, l’azienda non firmerà l’accordo di programma. Uno scenario che getta un’ombra sul piano di rilancio e sugli investimenti previsti per la sostenibilità ambientale della produzione siderurgica. Già nelle due ultime riunioni al Ministero, la volontà dell’azienda era sembrata concentrarsi solo ed esclusivamente sui costi energetici, mettendo in secondo piano tutti gli altri contenuti dell’accordo stesso. Da un piano industriale, anche se mai esplicitamente presentato nel dettaglio, fino a pochi mesi fa prevedeva un aumento della produzione di acciaio, il reintegro di un processo per la produzione di acciaio magnetico, interventi di bonifica ambientale e un processo di decarbonizzazione, con l’ambizioso obiettivo di realizzare il primo acciaio sostenibile in Europa. Un percorso che, secondo le recenti dichiarazioni, rischia di essere compromesso a causa dell’elevato costo dell’energia in Italia, un problema non esclusivo di AST ma di tutto il sistema produttivo nazionale. Terni nei primi anni del ‘900, sviluppa tutta la sua potenzialità industriale, acciaeria, fabbrica d’armi e chimica proprio grazie alla grande disponibilità di energia idroelettrica, sulle cui basi ha costruito nel tempo un tessuto industriale solido che oggi vede il suo futuro messo in discussione. Gli investimenti promessi per la produzione di acciaio magnetico, essenziale per il settore dell’automotive e dei motori elettrici, potrebbero non concretizzarsi senza un accordo di programma chiaro e vincolante. Le istituzioni locali e le organizzazioni sindacali si trovano a fronteggiare una sfida complessa. Da un lato, c’è la volontà di garantire la continuità produttiva e la tutela dei posti di lavoro, dall’altro, vi è la necessità di affrontare le problematiche ambientali e di salute pubblica che la produzione siderurgica comporta. Gli sforzi fatti, in questo ultimo anno, per limitare l’impatto delle polveri sottili e delle vibrazioni, in particolare nel quartiere di Prisciano, rappresentano un un passo avanti, ma senza investimenti adeguati il rischio è quello di un blocco totale delle tante operazioni ancora necessarie su cui l’amministrazione e l’azienda sisono impegnate nei confronti della popolazione. Il mancato accordo potrebbe inoltre avere ripercussioni pesanti sull’indotto locale, fatto di aziende che negli anni hanno garantito servizi essenziali per il funzionamento dell’acciaieria. La chiusura, o una drastica riduzione della produzione, rappresenterebbe un colpo mortale per molte realtà economiche della zona. La questione energetica resta il nodo principale. Il costo elevato dell’energia in Italia, acuito dalle crisi internazionali e dalla mancanza di una strategia a lungo termine, sta mettendo in ginocchio settori industriali ad alta intensità energetica come quello siderurgico. In passato, tentativi di creare centrali elettriche dedicate, come quella prevista a Narni, sono stati bloccati da comitati e incapacità istituzionale a dare seguito agli accordi previsti. Oggi si pagano le conseguenze di quelle scelte mancate. Eppure, nonostante i costi elevati, AST ha chiuso il 2023 con un bilancio positivo. Un dettaglio che fa emergere dubbi sulle reali intenzioni della proprietà: il rischio, è quello di un progressivo smantellamento della produzione a caldo, con il mantenimento della sola lavorazione a freddo e l’importazione di brame dall’Indonesia. Una strategia che comprometterebbe la qualità del prodotto finale e la stabilità del settore. Di fronte a questa situazione, il Sindaco di Terni ha chiesto un intervento urgente del governo, con il coinvolgimento diretto della Presidenza del Consiglio e dei ministeri competenti. Parallelamente, le organizzazioni sindacali hanno proclamato lo stato di agitazione e minacciano scioperi e manifestazioni se non arriveranno risposte concrete. Per l’amministrazione comunale l’accordo di programma resta il perno su cui si gioca il futuro dell’acciaieria. Senza un’intesa che garantisca investimenti pubblici e privati, un incremento della produzione ela proporzionale crescita occupazionale che ne deriverebbe, e una riduzione dell’impatto ambientale, il destino di AST e della città di Terni appare incerto. Senza la firma dell’accordo di programma in tutte le sue parti, l’amministrazione, in linea con quanto già ampiamente dichiarato, rimetterà in discussione anche la disponibilità della concessione della discarica necessaria per le lavorazioni. Questo è il momento di prestare un fronte comune di fronte ad un inaccettabile atteggiamento irrispettoso del gruppo Arvedi nei confronti della città. Nonnè più rinviabile una politica di salvaguardia delle produzioni manifatturiere nel nostro paese e in Europa, ma al tempo stesso ci aspettiamo un grande senso di reponsabilità soprattutto dagli imprenditori italiani. La posta in gioco è altissima e il tempo per trovare una soluzione si sta esaurendo».
Nubi e nervi tesi su Ast: «Stato di agitazione. Se non si cambia, otto ore di sciopero»