Capitale della cultura? Terni ci deve provare

Le considerazioni su una candidatura che fa discutere. Il corsivo di Walter Patalocco

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Il dossier per la candidatura di Terni a ‘capitale italiana della cultura’ è stato presentato. Si tratta di un documento che è stato definito ‘tecnico e poco politico’. Presto ne conosceremo i contenuti. Ma intantop una riflessione si impone.

di Walter Patalocco

Una città che massacra una sfinge vecchia di secoli per farne una fontanella può candidarsi a capitale della cultura? Può, anzi: deve! Proprio a evitare altri orrori. Quell’assunto secondo cui la cultura non dà da mangiare va considerato quel che è, una baggianata. Primo: perché se la mente – la sensibilità, il rispetto per le “radici”- è in alimentata anche il corpo, inteso come corpo sociale, ne trae giovamento. Secondo: non è vero che con la cultura non si mangia.

Perché, sennò, si registrerebbero casi come quello di Bilbao o di Torino? A Bilbao, città della siderurgia e più in generale dell’industria “pesante”, le sorti dell’economia sono state risollevate, dopo una profonda crisi strutturale dell’acciaio e della cantieristica, grazie alla presenza del museo Guggenheim di cui è diventata la “filiale” europea.

Certo, Bilbao è una realtà di dimensione nemmeno paragonabile, per esempio, con Terni. C’è un testo curato da Cecilia Cristofori (“Terni e Bilbao, città europee dell’acciaio”, Angeli Editore) che prende in esame le differenze non solo “fisiche” tra le due città. Altrettanto ovvio è che non si trova tutti i giorni una realtà come il Guggenheim che proponga la propria presenza. Ma che dire, di altre esperienze similari? Che dire, ad esempio, dell’esperienza di Torino?

Il capoluogo piemontese è stato per decenni una “one company town”, una città che modellava la vita, l’organizzazione, l’economia sui ritmi e sulla presenza della Fiat e delle sue derivate (dalla Teksid finita nella galassia degli acciai speciali della “Terni”, all’indotto). Torino si è affrancata nel corso degli ultimi venti anni scegliendo la strada degli investimenti in cultura per cui spende la ragguardevole cifra di un centinaio di milioni l’anno. Oggi Torino ha la più importante galleria d’arte moderna d’Italia, il più importante museo e la più importante fiera d’arte contemporanea, senza contare realtà quali il museo egizio o quello del cinema.

Non basta: Torino si sta impegnando in una serie di progetti che intendono promuovere e sviluppare l’identità di città d’acqua, con un fiume (il Po) da valorizzare. Ci volle un evento a far scegliere una rotta diversa. Uno choc per far scattare la molla nella mente degli amministratori torinesi: le olimpiadi invernali del 2005. Allora ci si accorse una scommessa poteva essere vinta pur se sembrava una velleità.

Sembra di sentirle le repliche: Terni non ha le disponibilità di Torino; non è grande quanto Torino e del paragone con Bilbao nemmeno a parlarne; il Nera non è il Po… e via di questo passo. Terni il suo fiume l’ha via via considerato, in tempi recenti, fonte di energia, pericolo da imbrigliare tra due alti muraglioni cancellandolo alla vista e alla memoria dei cittadini; discarica, quando – chi non lo ricorda – ad esempio tutti i rottamatori di macchine trovarono lungo le sue sponde sede per la loro attività.

E’ ora o no di considerare il fiume quel che è stato dalla notte dei tempi, ossia fonte di vita, di civiltà, mezzo di collegamento col resto del mondo? E’ ora di cominciare a pensare, per Terni, a un modello di sviluppo diverso da quello diventato tradizionale, a un modello nuovo che si affianchi al vecchio, che si amalgami con esso, magari?

Quel modello non può essere considerato un qualcosa da conservare così com’è, restando abbarbicati addosso al bidone, pensando che solo così lo si possa difendere. E’ ora di stabilire quale progetto di città si ha in mente cominciando da subito a disegnarlo? Non può bastare difendere la sfinge (cosa comunque è essenziale) o, come accade per l’ex Palazzo di Sanità, le memorie di un passato senza sapere cosa farne oltre che lasciarle lì come monumento inutilizzato, senza trasformarle in risorsa.

Lo choc, per Terni, può essere una qualcosa di meno clamoroso di un’olimpiade. Basta anche la “velleità” di voler essere una capitale della cultura. Avere cioè quel coraggio di scommettere che troppe volte è già mancato. Ma è noto: il coraggio non si compra in farmacia.

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