di Walter Patalocco
Foto di Alberto Mirimao
Certi politici nostrani, quelli sopravvenuti negli ultimi tempi, avrebbero dovuto farci almeno un salto, alla chiesa di San Francesco a Terni, per l’ultimo saluto a Terenzio Malvetani.
Mica per altro: perché avrebbero potuto imparare qualcosa di fondamentale. Ossia che la politica è competizione, agone, acceso dibattito, magari motivo di temporaneo risentimento nei confronti dell’avversario. Mai di odio personale da scaricare addosso al nemico politico.
Terenzio Malvetani, nella sua vita, è stato un uomo politico ed amministratore della cosa pubblica (alla Carit, al Comune di Stroncone e alla Terni di cui fu anche presidente). Era democristiano, e per di più imprenditore agricolo, uno che all’inizio del Novecento sarebbe stato classificato come “agrario”.
Due caratteristiche che era pesante portarsi addosso negli anni del Dopoguerra e poi negli anni Sessanta e Settanta, quando le sinistre – Pci in testa – individuavano in uno come lui un portabandiera dello schieramento avversario, un simbolo del “capitalismo” e per di più banchiere alla Cassa di Risparmio di Terni.
Quando sul credito il Pci ed il Psi aprirono una vera e propria guerra, era lui ad essere individuato come l’avversario principale. Lui, Malvetani, era tra coloro che tiravano le corde del sistema creditizio umbro.
Quante gliene hanno dette, a torto o ragione! Eppure venerdì erano lì, tutti. Gli uomini politici e gli amministratori umbri del Pci di quegli anni, coloro che erano ai vertici, seppur nell’altra trincea.
Avversari, magari acerrimi, ma non nemici. In grado e pronti a riconoscere anche all’altro competenza, serietà, dignità: prerogative dell’uomo politico vero.
Quando tra mille anni scomparirà qualcuno dei cosiddetti “politici” ternani, vedere quel che s’è visto ieri alla chiesa di San Francesco sarà possibile?
O anche in quell’occasione ci sarà chi urlando, insultanto ed inveendo darà un calcio alla serietà, alla dignità ed alla civiltà?