Isrim, una storia comune. Anche troppo

L’Istituto ha seguito la sorte di tante altre progettate innovazioni per Terni, avviate con tanto entusiasmo e colpevolmente messe nel dimenticatoio

Condividi questo articolo su

di Walter Patalocco

La ricerca, l’innovazione, le nuove frontiere della comunicazione: era questo lo scenario degli anni Novanta, la strada che si stava tracciando perché Terni affiancasse alla siderurgia ed alla chimica, produzioni di base, nuovi settori di sviluppo.

La Terni del millennio che stava per arrivare si prefigurava come una città che avrebbe saputo costruire il futuro traendo linfa dal proprio passato, dalle proprie vocazioni e specificità. Una verticalizzazione dell’identità costruita in poco più di un secolo e che aveva preso le mosse dalla “rivoluzione industriale” della città.

Quell’identità che era intrisa di cultura tecnica, nata e sviluppatasi col Regio Istituto Tecnico, fiore all’occhiello dell’istruzione ternana, ed era passata per il centro ricerche della Montecatini che fu partecipe della scoperta che fruttò il Nobel a Giulio Natta, avviando proprio a Terni la produzione del Moplen e del Meraklon. Materiali innovativi, rivoluzionari.

L’intuizione di puntare sulla ricerca dei nuovi materiali, quindi, fu quasi una conseguenza naturale ed a metà degli anni Ottanta si progettò l’Isrim. Un centro che avrebbe dovuto raccogliere un insieme di cervelli che andassero alla conquista di nuove frontiere, traendo esempio dalle esperienze sia del centro della Montecatini sia del Csm, il Centro Sviluppo Materiali dell’Iri che a Terni aveva sede.

Fu una battaglia. Le istituzioni si mobilitarono per andare alla ricerca dei finanziamenti che furono individuati in alcuni fondi europei destinati al sostegno di iniziative innovative promosse dai Paesi del sud dell’Europa: non a caso quei fondi erano noti come Pim, Piani Integrati Mediterranei. Dai Pim arrivarono i quasi quaranta miliardi per far partire l’Isrim, e ci fu la collaborazione dell’Iri che mise a disposizione, per la sede, alcuni locali della scuola di formazione ex Ancifap, altro fiore all’occhiello della cultura tecnica ternana.

D’altra parte la nascita dell’Isrim era una delle iniziative di reindustrializzazione che Terni trattò in occasione della crisi siderurgica della metà degli anni Ottanta del secolo scorso. Mentre le istituzioni sognavano un polo didattico–scientifico di altissimo livello – costituito da Isrim, Csm, facoltà di ingegneria dei materiali, centro ricerche Montedison – tra i ternani s’era diffusa la speranza che l’Isrim sarebbe stato una “nuova acciaieria”.

Non poteva essere così, un centro di ricerca sofisticato così come lo si voleva, non poteva assicurare da solo centinaia di posti di lavoro. Direttamente, anzi, poteva assicurarne ben pochi, ma di alto livello. La ricchezza diffusa stava, semmai, nella ricaduta sulle produzioni. Perché quel che si sognava era che quell’Istituto – e tutto il resto – avrebbe dato una spinta notevolissima alla modernizzazione delle produzioni ternane.

Un sogno, appunto. Già poco dopo essere diventato operativo l’Isrim rimase invischiato nella tangentopoli ternana. Le commesse che avrebbero dovuto assicurarne l’esistenza non arrivavano né dalle imprese locali, troppo spesso impegnate nella corsa all’appalto e sub appalto delle acciaierie, né da fuori. L’offerta non creò la domanda. Da quei laboratori non è uscito granché di rivoluzionario, fino a ché ci si è rifugiati nella certificazione di materiali prodotti e studiati da altri, facendo conto sul sostegno finanziario pubblico. Mentre i ricercatori e gli studiosi cercavano altri sfoghi.

Quale poteva essere la sorte dell’Isrim se non quella registrata in questi giorni, ossia il fallimento? L’Isrim ha seguito la sorte di tante altre progettate innovazioni per Terni, avviate con tanto entusiasmo e colpevolmente messe nel dimenticatoio: dal multimediale al cinema, dal Business Innovation Center alle cellule staminali e alle biotecnologie.

Condividi questo articolo su
Condividi questo articolo su

Ultimi 30 articoli