Riceviamo e pubblichiamo
(lettera firmata)
Cosa succederebbe se improvvisamente avvertissi un dolore nella parte sinistra dell’emitorace con irradiazione del dolore fino all’avambraccio sinistro? E se tutto questo avvenisse di sabato sera? A seconda dell’intensità del problema hai diverse possibilità: contattare telefonicamente la Guardia medica, andare al Pronto Soccorso ( che di pronto ha veramente poco) o chiamare il 118.
Io ho scelto di chiamare la Guardia medica, che dopo aver ascoltato telefonicamente il problema, mi ha invitata ad andare presso la sede. Dopo un’accoglienza cordiale e aver rilevato tutti i parametri che potevano rilevare visto la strumentazione disponibile (Anamnesi, Valutazione visiva, Misuratore della pressione e Pulsiossimetro), mi viene consegnato un certificato in cui si raccomanda una visita in pronto soccorso per effettuare un elettrocardiogramma e prelievo del sangue per valutare gli enzimi.
Alle 23.07 del 1 aprile arrivo al P.S. con la sensazione di essere in Via Fratini per quanto era affollato. Sono arrivata con i miei mezzi, non sono moribonda e quindi, memore del racconto di una vicina che qualche giorno fa ha fatto accesso, per una polmonite virale al Pronto Soccorso alle 20,30 ed è uscita di lì alle cinque del mattino, capisco che la faccenda non sarà breve.
Dopo circa quindici minuti dall’accettazione mi viene eseguito un elettrocardiogramma da cui fortunatamente non risulta nessun danno cardiaco, vengo identificata con codice verde e mi si dice di aspettare la visita del medico, che avrebbe dovuto valutare l’opportunità di effettuare il prelievo; tutto sarebbe avvenuto dopo alcune ore visto che avevo 14 persone prima di me.
Mi è stato messo un braccialino con codice a barre al polso e detto che mi potevo accomodare fuori, nella sala di attesa degli accompagnatori, anche se forse non avrei trovato posto a sedere. Lì c’erano altri pazienti con il braccialino, molti accompagnatori e le sedie non erano in numero sufficiente per tutti. Dopo tre ore in piedi, non facendocela più mi sono andata a sedere fuori, nonostante il freddo della notte.
Alle 4,00 finalmente vengo chiamata per la visita. Dire che sono agitata è un eufemismo. Un’infermiera mi dà indicazione di sedermi, indicando un lettino con lenzuolo sporco, per effettuare il prelievo. Pure sul lenzuolo sporco no!! Lo faccio notare. L’infermiera mi dice che non è necessario sdraiarsi per fare il prelievo. Che avevo capito male. Comunque lì io avrei dovuto appoggiare il braccio. Rispondo che vista l’ora e l’attesa forse sono stanca e non ho capito bene. Cambia il lenzuolo e più volte sottolinea che non è colpa sua se l’attesa è stata lunga. Comunque avrei dovuto aspettare ancora due ore per avere il risultato degli esami del sangue.
Esasperata chiedo al dottore di poter andare a casa e se è possibile avere il risultato degli esami in un altro momento. Mi risponde che non è possibile. Devo aspettare e stare contenta di aver atteso solo 5 ore, perché altri pronto soccorso fanno attendere anche 10 0 11 ore! Parlano sovrapponendosi alle mie parole e l’atteggiamento di entrambi è condito da una belle dose di arroganza. Non ho scelta. O vado via senza concludere l’iter oppure aspetto altre due ore. Nella sala d’attesa per l’impotenza e la rabbia mi viene da piangere, sentendomi trattata, non solo io ovviamente, come un numero o peggio di una bestia.
Dopo due ore, le sei del mattino, mi chiamano per l’esito degli esami. Fortunatamente anche questi hanno parametri normali.
Chiedo di sapere il nome del medico. E’ scritto nel referto. Chiedo di sapere il nome dell’infermiera: il dottore si rifiuta di dirmelo. Mi chiede: “Ma qual è il problema? Deve stare contenta: se avessi fatto io l’elettrocardiogramma le avrei dato codice bianco, fatto pagare la prestazione, invece per farla stare tranquilla le sono stati fatti tutti gli accertamenti. Sbaglia la Guardia medica ad inviare tutti qui. Il pronto soccorso si intasa di codici bianchi e poi gli altri devono aspettare. Non essere stata vista subito in fondo è segno che lei non ha nulla di grave. Aumentare il numero del personale non sarebbe risolutivo perché aumenterebbe anche il numero dei pazienti e saremmo punto daccapo”.
Rispondo sventolando il certificato della guardia medica: “Sono stata inviata dalla guardia medica, fosse stato per me sarei stata meglio a casa mia. Per il pagamento non ci sono problemi; il vero problema è che le persone non si trattano come numeri o peggio degli animali”.
E intanto era l’alba…
Scrivo queste parole con la consapevolezza che all’ospedale di Terni si è appena conclusa una vertenza sindacale con l’accordo di un piano triennale per le assunzioni, quindi il personale è sotto organico. Molti centri ospedalieri minori sono stati chiusi; la buona reputazione del nosocomio ternano spinge molti pazienti anche fuori regione ad avvalersi delle sue cure; i molti codici bianchi determinano un intasamento del pronto soccorso. I medici e tutti gli operatori hanno sicuramente fatto del loro meglio per rispondere a tutte le esigenze di quelle ore. Ma ciò che non è condivisibile è l’atteggiamento del personale che si autoincensa perché tutto sommato l’attesa è stata breve e altrove si attende di più; le modalità dell’attesa: in piedi o fuori al freddo non sono condizioni dignitose; la sufficienza con cui si viene trattati quando si fanno, a ragione, rimostranze. Si vorrebbero pazienti rassegnati anche nelle condizioni meno favorevoli. Ciò non è possibile.
Personalmente pago regolarmente le tasse e vorrei, quando non sto bene, essere curata in modo adeguato e rispettoso della mia condizione di essere umano. Vorrei non sentire un medico che critica la decisione di un componente dello staff quando parla con un paziente e un maggiore raccordo operativo fra gli operatori della Guardia medica e quelli del Pronto Soccorso. Non sono francamente interessata a conoscere le beghe interne. Il problema del sovraffollamento è cronico, quindi va segnalato e pianificata la sua risoluzione.