Trentaquattro misure cautelari – dieci custodie in carcere, sette arresti domiciliari, diciassette obblighi di dimora – sono stati eseguiti dai militari del comando provinciale della Guardia di finanza di Caserta. Con tanto di sequestro di beni per circa 35 milioni di euro tra immobili, autoveicoli di lusso (una Ferrari, una Porsche Cayenne e due Range Rover), rapporti finanziari e quote societarie. Fiamme Gialle in azione nei confronti di un gruppo criminale con base nell’agro aversano che, a favore di imprese edili operanti su tutto il territorio italiano, ha emesso un gran numero di fatture false. Coinvolta anche l’Umbria.
Riciclaggio A disporre le misure cautelari è stato il Gip – coordina le attività la procura della Repubblica di Napoli nord – del tribunale di Napoli: il gruppo criminale in pochi anni ha messo migliaia di fatture false a 643 aziende edili con sede in Campania (in particolar modo), Marche, Toscana, Lazio, Emilia Romagna e Umbria. Giro d’affari da capogiro: riciclaggio da oltre 100 milioni di euro, 13,5 dei quali rimasti nelle tasche degli organizzatori della frode e il restante alle aziende beneficiarie. In tal modo si venivano a creare fondi neri per ‘inquinare’ il mercato.
Il ‘sistema’ L’attività di indagine, a cui hanno contribuito anche le le Direzioni distrettuali antimafia di Napoli e Firenze, ha consentito di individuare sei società ‘cartiere’ con sede a Roma e nelle province di Lucca e Caserta, che – secondo l’ipotesi accusatoria avvalorata dal gip di Napoli – fra il 2009 e il 2016 hanno emesso fatture per operazioni inesistenti per oltre 100 milioni di euro, a favore di 643 imprese beneficiarie della frode ed effettivamente operanti nel settore edile nell’intero territorio nazionale, prevalentemente in Campania ma anche nelle Marche, in Toscana, Emilia Romagna, Lazio ed Umbria.
Il riciclaggio Dall’attività investigativa è emerso che le società edili, dislocate in diverse province italiane, per simulare le operazioni commerciali, pagavano il corrispettivo tramite bonifici bancari alle società ‘cartiere’ che, di contro, emettevano le false fatture di vendita. Successivamente le ‘cartiere’ rimettevano le intere somme ricevute su conti correnti intestati ad altre ditte e società di comodo che, mediante operazioni di giroconto e ricariche di carte postepay evolution, le trasferivano ai numerosi sodali addetti alle operazioni di prelievo.
Complice in banca Tutto il contante prelevato veniva poi consegnato ai promotori delle organizzazioni tramite alcuni referenti, veri e propri ‘capi squadra’ del riciclaggio. I promotori, trattenuta una percentuale di guadagno per il ‘servizio’ criminale reso (dal 12% al 22% dell’imponibile delle fatture emesse), restituivano sempre in contanti la restante parte agli imprenditori che avevano disposto i bonifici iniziali. Un metodo piuttosto complesso di ‘ripulitura del denaro’, agevolato anche dalla connivenza di un funzionario infedele della banca dove erano stati accesi i conti correnti di tutte le ‘cartiere’. Quest’ultio, pur essendo a conoscenza dell’origine illecita delle risorse finanziarie, prestava la propria autorizzazione all’effettuazione di operazioni in contrasto con le corrette procedure bancarie, aderendo agli ordini direttamente impartiti ed astenendosi nche dalla dovuta segnalazione delle operazioni ai fini della normativa antiriciclaggio.