Più che una denuncia, un grido di dolore: «Non c’è nulla di più struggente di un amore che finisce, soprattutto quando la conclusione è particolarmente violenta ed inaspettata. E’ quello che è successo – ha scritto sul suo profilo Facebook il delegato provinciale del Coni per Terni, Stefano Lupi – durante una partita di calcio di giovanissimi. Una rissa tra allenatori, le urla scomposte di alcuni genitori ed ancora la indegna gazzarra fra opposte tifoserie hanno indotto mio figlio, innamorato del calcio, a dire basta ad 11 anni. Me lo ha detto con gli occhi impauriti di chi non capisce il perché, di chi si è sentito perso ed indifeso in un campo di gioco, di chi ha visto quello che non si sarebbe mai immaginato. E’ uscito dal campo terrorizzato, senza nemmeno spogliarsi, mi ha stretto la mano pregandomi di andar via».
La paura Lupi ha scritto, poi: «Ero sbalordito, incapace di dare spiegazioni a quell’assurdo comportamento. C’era una rete che ci divideva mentre si accendeva una stupida rissa. Da anni mi batto per togliere quelle maledetti reti dai campi. Non proteggono appunto, ma dividono. Ho visto un allenatore o comunque un dirigente della squadra avversaria addirittura scavalcarla per scagliarsi contro il pubblico. In quel momento quella stessa rete mi separava da mio figlio, impedendomi di portarlo via e proteggerlo. Sono arrabbiato e sconfortato. Nel giorno dell’Epifania lui e tutti gli altri bambini delle due squadre hanno ricevuto da noi adulti uno dei doni più brutti: la disillusione verso lo sport che più amano. Tornando a casa mi ha detto che non vuole più giocare, appunto giocare, al calcio. E’ finito un amore, tanto più bello quanto legato alla giovinezza. Non mi interessa ricercare gli odierni colpevoli né citare le società. Non mi rasserena ciò. Oggi il calcio ha perso diversi innamorati. Peccato! Questo non cambierà le cose ma un amore è comunque finito».
La disillusione Il giorno dopo, Stefano Lupi è ancora più amareggiato, «soprattutto perché non ho ancora trovato le parole giuste per parlare a mio figlio, che stamattina mi ha detto “io preparo tutte le mie cose e le riportiamo alla società (il Campitello; ndr) perché tanto io non gioco più”. Io sono solo riuscito ad abbracciarlo forte e, mentre lo facevo, pensavo che il mio ruolo di dirigente sportivo, ma ancora prima di padre, da oggi in poi dovrà essere caratterizzato da un impegno ancora maggiore».
La storia Sull’episodio specifico, Lupi preferisce non tornare e allora si va alla ricerca di notizie: «La partita – dice Fausto Petrini, segretario della Ducato Spoleto – era tra una nostra squadra e il Campitello e si giocava sul nostro campo. Io non c’ero, ma sto raccogliendo informazioni e sembra che tutto sia nato dal fatto che un nostro ragazzino, per liberarsi da un avversario che lo tratteneva per la maglia, abbia ‘sbracciato’ colpendolo al viso. Faceva molto freddo e il bambino ternano, per il colpo involontario subìto, avrebbe riportato una piccola ferita. Da lì sarebbe iniziato il parapiglia».
Le botte Con «insulti, da una parte e dall’altra – dice Petrini – e con il nostro allenatore, che vive le partita in modo molto passionale, che sarebbe uscito all’esterno del campo. I dettagli di come sono andate le cose non li conosco, anche se mi hanno raccontato di qualche spintone, ma so che il Campitello ha deciso di ritirare la squadra. Cercheremo di capire meglio qual’è stata la reale dinamica dei fatti e poi, nel caso, prenderemo una posizione ufficiale». Quella che un ragazzino di 11 anni ha già preso da solo. Diventando adulto troppo in fretta.