I nomi – complimenti per la fantasia – nel tempo sono cambiati: c’è stato ‘Odessa’, poi ‘Hpb-Formamentis’ (dove Hpb sta, nientemeno, che per High Potentiality Beverage). Ma le persone – mogli comprese – sarebbero rimaste le stesse. Ma intanto per le acque minerali ‘Claudia’ e ‘Tione’ – e per i lavoratori degli stabilimenti di Anguillara e Orvieto, la situazione resta drammatica.
I nomi Il gruppo Tione, del quale Claudia faceva parte, aveva registrato un primo fallimento – a dicembre 2014 – del ‘ramo’ orvietano (Tione). Poi, a primavera 2015, era arrivato anche il fallimento del ‘ramo’ laziale (Claudia). La cosa curiosa è che in tutto l’ambaradan sono stati coinvolti, a diverso titolo, sempre gli stessi personaggi: Stefano Gualdi (ex Sangemini), Enrico Silva (che si era fatto avanti per la stessa Sangemini, prima che fosse affidata ai Pessina), Alessandro Lucrezio (di Odessa). Più le consorti degli ultimi due, che figurerebbero nel vorticoso giro di società-che-sostituiscono-società e che, alla fine sta determinando l’ennesimo flop.

I fallimenti Perché quello del gruppo Tione, con i rubinetti dei due stabilimenti che si sono andati progressivamente chiudendo e con i lavoratori spesso usati come ostaggi – nessuno dimentica i ‘picchetti’ per impedire che una linea di imbottigliamento (non pagata) fosse smontata e portata via: poi la linea è stata smontata – e con i sindacati costretti alle solite frasi di circostanza, tipo che nella quale si denunciava che «siamo dinanzi ad un piano di ristrutturazione aziendale in assenza di alcuna garanzia economica, patrimoniale e soprattutto sociale. Le procedure messe in atto dalle aziende interessate appaiono tese unicamente a ridurre le garanzie dei lavoratori comprimendo contestualmente i diritti acquisiti dagli stessi».
La politica E con la politica che, come spesso succede in casi del genere, si lascia andare a considerazioni che, rilette con calma, fanno uno strano effetto: «Il dottor Gualdi – aveva garantito ad agosto 2015 il sindaco di Anguillara, Francesco Pizzorno – ha presentato il piano di rilancio dell’azienda Acqua Claudia impegnandosi a far sì che a breve la produzione aumenti con conseguenti benefici sull’occupazione e sull’indotto». Manco per niente.
Oggi La produzione di Claudia oggi si attesterebbe su meno di sei milioni di ‘pezzi’ all’anno, con un fatturato di circa un milione e mezzo, molto meno di quanto Silva, Gualdi e compagnia di giro dovrebbero pagare di affitto. Con tre o quattro addetti al lavoro e una dozzina in cassa integrazione. Il gruppo Tione di Orvieto, così, non riuscirebbe a rimettersi mai in sesto. E allora, ecco che torna sulla scena un altro nome noto.

Agnello Sì, perché Stefano Gualdi ed Enrico Silva avrebbero fatto quello che non ci si aspetta: si sono rivolti a Francesco Agnello, l’imprenditore campano che aveva a lungo tentato – presentando anche un piano industriale alternativo, mai preso in considerazione – di mettere le mani sulla Sangemini, trovando però i due messi per traverso (Silva pare avesse a sua volta delle mire, ovviamente attraverso Gualdi).
Trattative Poi, però – le leggi del business sono ferree – può succedere che un avversario diventi l’unica àncora di salvezza ed ecco che Francesco Agnello potrebbe, con un investimento di due milioni e mezzo di euro, prendere il controllo di tutta la baracca. Lui, Agnello, contattato da umbriaOn, preferisce restare sulle generali: «Di sicuro ci sarebbero le possibilità per rilanciare quelle produzioni – spiega – ma non spetta a me parlare di queste cose ora. Io ho dato la mia disponibilità e sono certo di poter dare prospettive anche ai lavoratori che attualmente sono in cassa integrazione. Ma siccome di promesse ne hanno ascoltate anche troppe, non ne faccio. Io preferisco far parlare i fatti».