di F.L. e Fra.To.
«Mi sembra di vivere un incubo, qui sembra che nulla stia succedendo. Il governo britannico pensa che il coronavirus sia solo una brutta malattia che nella maggior parte dei casi ha soltanto sintomi lievi, pensa che sarà stagionale e che potrebbe tornare anche il prossimo inverno. Per questo crede sia importante sviluppare un’immunità di gregge, per tenerlo sotto controllo a lungo termine. Ma io, sinceramente, ho molta paura». A parlare è Federica, 26enne di Terni, da poco più di due anni residente a Londra, dove lavora in un ristorante. Una dei tanti ternani ‘expat’, che hanno scelto un luogo stimolante – lavorativamente e socialmente – per vivere, ma che ora sono costretti ad affrontare questo delicato momento storico a migliaia di chilometri dalle loro famiglie. E soprattutto in un Paese che, per superare l’epidemia di Covid-19, sembra voler adottare una strategia totalmente diversa da quella italiana.
EMERGENZA CORONAVIRUS – UMBRIAON
Tutto scorre (quasi) come sempre
Le uniche misure per il contrasto alla diffusione del virus – che in Gran Bretagna, fino alla serata di sabato, contava 1.140 contagiati e 21 morti, raddoppiati in 24 ore – sono state prese dalle autorità sportive, per il resto pub e ristoranti sono regolarmente aperti, come i negozi, le scuole e le attività finanziarie e produttive. Permessi anche gli eventi di massa. «Io – racconta Federica – cerco di stare a casa il più possibile, mi sono munita di guanti e mascherina per quando devo uscire. Il problema è che qui è tutto aperto e funzionante come se nulla fosse e devo ovviamente andare a lavorare. Lì ci hanno detto di non spaventare i clienti, quindi non posso proteggermi e proteggere gli altri in nessun modo. Assurdo». Federica non torna in Italia da novembre. «Avevo un volo prenotato per il 13 marzo, sarei dovuta venire a Terni a trovare la mia famiglia e la prossima settimana sarei tornata qui portando con me mia madre e mio fratello per una breve vacanza. Invece tutto annullato. Li sento ogni giorno, facciamo delle videochiamate e cerchiamo di sentirci un po’ più vicini, ma è bruttissimo. Io sono preoccupata per loro, per le notizie che sento dall’Italia, ma mi rassereno un po’ date le misure prese dal governo italiano, loro invece sono preoccupatissimi per me dato che qui siamo esposti ad un qualcosa che non conosciamo fino in fondo. Spero davvero che tutto questo finisca presto, che anche qui vengano presi dei provvedimenti per arginare il problema in tempi brevi e di riavere la libertà di tornare nel mio Paese e riabbracciare la mia famiglia».
Chi può sceglie lo ‘smart working’
Sarebbe dovuta tornare in Italia a Pasqua, ma dovrà quasi certamente rinviare il viaggio anche Agnese Salvati, ingegnere di 33 anni, anche lei di Terni, ricercatrice alla Brunel University. Lei però, a differenza di Federica, ha almeno la possibilità di lavorare da casa. «Qui a Londra è tutto aperto – conferma -, la gente circola regolarmente e sono pochi quelli che indossano la mascherina. I numeri di contagiati dichiarati sono ancora pochi, ma già ci sono notizie di autisti dei trasporti pubblici positivi. La metropolitana è sicuramente uno dei posti ideali in cui il virus può proliferare, per questo preferisco evitarla. E visto che devo prenderla per andare a lavoro, da lunedì lavorerò da casa. Anche molte società, compagnie e banche della City hanno deciso in autonomia di dare la possibilità ai propri dipendenti di optare per lo smart working. Le uniche misure che ha introdotto il governo sono di stare a casa almeno 7 giorni se hai febbre e tosse, il divieto di viaggi scolastici all’estero e il consiglio agli anziani di non andare in crociera (anche se domenica mattina si è fatta strada l’ipotesi di una quarantena obbligatoria, fino a 4 mesi, per gli ultrasettantenni, ndr). Ma c’è una divergenza con la società civile, iniziano a vedersi file al supermercato, non le scene che dalla tv abbiamo visto in Italia, però gli inglesi, che di solito non fanno scorte, ora riempono i carrelli. Soprattutto di carta igienica».
Uscite limitate al minimo
Insomma, la strategia inglese – salvo marce indietro – è quella di rinviare i sacrifici il più possibile, per limitarli a quando ci sarà il picco del virus, la cui diffusione dunque al momento non verrà fermata, nell’ottica ‘business as usual’. Gli affari come solito. «Noi da oggi in poi eviteremo tutte le uscite superflue – spiega Agnese, che vive nella capitale Uk con il fidanzato Andrea, anche lui italiano -, non vogliamo rischiare. Qui se malauguratamente si dovesse contrarre la malattia in maniera seria il sistema sanitario non è attrezzato. Ma al momento casa nostra è questa e rimaniamo qui, anche se alcuni colleghi italiani stanno cercando di tornare in Italia. Per ora infatti non c’è alcuna restrizione nei viaggi, anche se probabilmente ci saranno i primi annullamenti da parte delle compagnie aeree». È invece ritornato recentemente a Londra dall’Italia Federico, data scientist 31enne anche lui di Terni. «Sono rientrato a Londra dal Trentino il 7 marzo – spiega -, non ho dovuto seguire particolari accorgimenti in quanto non provenivo dalle zone rosse». Anche lui, avendone la possibilità, ha preferito chiedere di poter lavorare da casa. «Per ora cerco di limitare le uscite in posti affollati e fare piuttosto delle passeggiate al parco. La gente è attenta a quello che le viene detto dal governo e non vuole barricarsi in casa a meno che non le dica che è necessario farlo. Dunque – conclude -, come si dice qui, ‘keep calm and carry on’». Mantenete la calma e andate avanti.