Il problema inizia a espandersi oltre le mura della fabbrica e diventa un pensiero in più per l’Ordine dei medici di Terni: «Non richiedete certificati falsi, è un reato». È l’appello che è stato costretto a lanciare il presidente dell’Ordine provinciale dei medici di Terni, Giuseppe Donzelli. «In questi giorni di emergenza, derivante della pandemia da Covid-19 che noi sanitari tutti stiamo vivendo ed affrontando con numerose difficoltà ed ansie quotidiane, conseguenti tra l’altro all’assenza dei dispositivi di protezione individuale – continua Donzelli – , sono giunte a quest’Ordine numerose richieste di chiarimento in merito al rilascio da parte del medico di medicina generale di certificazioni di malattia Inps per soggetti che spesso non hanno diritto. Si precisa che il certificato medico rappresenta un’attestazione scritta di un fatto di natura tecnica, destinato a provare la verità, la cui violazione potrebbe farci incorrere in sanzioni penali (articoli 480 e 481 del codice penale)». Una preoccupazione in più dunque per una categoria, quella dei medici, che di tutto ha bisogno in questo momento tranne che di nuove criticità.
Equilibri delicati
Nel decreto del presidente del Consiglio dei ministri dell’11 marzo scorso è scritto che «le attività produttive, se adottano provvedimenti adeguati per la protezione dei lavoratori, possono rimanere aperte. Chi non riesce a rispettare i protocolli sanitari imposti dalle autorità deve chiudere». È una decisione del Governo, perché sulle casse dello Stato peserebbero ad esempio i 2.500 dipendenti di Ast se l’azienda fosse costretta a terminare l’attività. Se le aziende chiudono, si perdono ordini e commesse e i clienti si rivolgono altrove, determinando inevitabilmente la perdita definitiva di posti di lavoro e portando ad una gravissima crisi occupazionale e sociale. Nervi saldi dunque. I provvedimenti varati fin qui dal Governo, se rispettati da tutti con scrupolo e responsabilità, possono offrire una soluzione equilibrata alla grave situazione del momento, contemperando esigenze diverse ed evitando di provocare danni che potrebbero rivelarsi irreparabili. Interrompere oggi le filiere significherebbe perdere il mercato di appartenenza e chiudere imprese di territori a forte vocazione export vuol dire dare all’estero un segnale di mancata capacità produttiva, difficile da recuperare nel breve periodo. Mettersi al servizio del paese, oggi per le fabbriche italiane, significa affrontare con coraggio l’emergenza sanitaria, senza spegnere il motore dell’economia. È un atto di responsabilità, come deve essere un atto di responsabilità verso i lavoratori autoimporsi una sospensione in caso di impossibilità a soddisfare i requisiti di sicurezza richiesti dall’emergenza.