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Home » Terni: «Partita riforma Camera commercio non chiusa». L’appello

Terni: «Partita riforma Camera commercio non chiusa». L’appello

di Simone Francioli
8 Luglio 2020
in Dal territorio, Economia, Imprese, Lavoro
Tempo di lettura: 3 minuti di lettura
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«La partita non è ancora chiusa perché comunque è pendente il ricorso al Tar del Lazio. Per salvare la Camera di Commercio occorre però che il territorio con le sue istituzioni sia coeso e pronto a sostenere concretamente le nostre ragioni». Il presidente dell’ente ternano, Giuseppe Flamini, non molla dopo la pronuncia della Corte costituzionale in merito alla riforma: «Un duro colpo».

Giuliana Piandoro e Giuseppe Flamini

Ricorsi e interventi

La Camera di commercio di Terni in primis ricorda che il Tar del Lazio aveva ravvisato «rilevanti e non manifestamente infondate» le motivazioni del ricorso e aveva anche individuato «presunte questioni di violazione dei rapporti di potere tra istituzioni». Poi il giudizio della Corte costituzionale dello scorso 23 giugno sulla legittimità della riforma  che ha messo in evidenza come «non vi sia stata una violazione del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni per le plurime interlocuzioni che il governo ha avuto con le autonomie regionali». La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane, mentre il Tar del Lazio si pronuncerà probabilmente a marzo-aprile del 2021.

L’appello di Flamini

In tutto ciò Flamini – mercoledì mattina si è svolta una conferenza stampa sul tema – puntualizza che «il tempo per intervenire ci sarebbe, ma servirebbe un’azione forte, coesa di tutta la provincia, nella consapevolezza che perdere la Camera di commercio significherebbe perdere un ultimo presidio di autonomia delle imprese e delle realtà associative del territorio». Più ha volte ha rimarcato l’assenza delle istituzioni e delle associazioni di categoria: «Non hanno fatto sentire la loro voce a sostegno dell’ente camerale, mentre in altre realtà le Camere hanno presentato il ricorso insieme a sindaci o ad alcune associazioni di categoria». All’appuntamento odierno hanno preso parte il primo cittadino di Amelia Laura Pernazza e il vicesindaco di Narni, Marco Mercuri: la questione sarà portata all’attenzione della segreteria di presidenza Anci. Assenti i parlamentari umbri.

La Camera di commercio di Terni

Il rischio

Il segretario generale dell’ente, Giuliana Piandoro, ha messo sul tavolo i numeri riguardanti «le ingenti risorse riversate – 10 milioni investiti in bandi e progetti nell’ultimo quinquennio – sulle imprese ternane; difficilmente potranno essere concentrate tutte sul territorio ternano se il centro decisionale non sarà più a Terni. Nel 2020 da gennaio ad oggi già 2milioni e 400mila euro a favore delle imprese, per sostenere la liquidità, in azienda, il turismo e l’internazionalizzazione». In periodo di lockdown sono state esaminate oltre 850 richieste di esenzione di chiusura attività, elemento che ha consentito alle aziende del territorio di continua a lavorare durante la pandemia covid-19. «Siamo un sostegno importante per le imprese del territorio, abbiamo una governance locale e conosciamo i bisogni del territorio, tutto questo scomparirà con la nascita della Camera dell’Umbria e il conseguente spostamento dei centri direzionali», è stato sottolineato. «Ancora non comprendiamo quale sarebbe il vantaggio di una fusione, considerato che il riordino e le norme precedenti e successive di contenimento della spesa hanno già enormemente ridotto i costi dell’ente. Sei anni dopo, un territorio afflitto da crisi insormontabili potrebbe subire anche questo. La sede principale sarebbe a Perugia e a Terni rimarrebbe una sede operativa con un ruolo assolutamente marginale. Dopo Banca d’Italia, Arpa, l’elenco degli enti persi o accorpati con realtà più grandi si allungherebbe».

La richiesta

L’input che parte dalle Camere di commercio – rivolta a tutti i livelli della politica – è la «modifica del testo vigente che renda ‘volontari’ e ‘non obbligatori’ gli accorpamenti, superando il numero massimo di sessanta, indicato con immotivato senso nella legge Madia. Se gli enti hanno un equilibrio economico-finanziario e noi lo abbiamo raggiunto dopo alcuni anni di risparmi e strategie di contenimento dei costi, possiamo tranquillamente ‘servire’ il nostro territorio dando servizi e risorse alla imprese, come sempre abbiamo fatto in questi anni e soprattutto in questo periodo di pandemia, che lascerà inevitabilmente strascichi di crisi socio-economica – ha chiuso Flamini – che non potrà non essere presidiata direttamente dal territorio e sul territorio».

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