di S.F.
L’esposizione di uno striscione con scritto «Erdoğan terrorista W Ypg Ypj Free Afrin», un drappo raffigurante una stella con all’interno due bandiere, il volto di una donna e due combattenti con messaggio «Solidarity e Kobane rojava Kurdistan demokratische autonomie verteidigen». È accaduto il 21 marzo 2018 al palaBarton di Perugia in occasione della sfida – durante il terzo set – di Champions League tra la Sir e l’Halkbank Ankara: per questo motivo intervennero gli agenti della Digos della questura per il sequestro del materiale e l’identificazione delle persone coinvolte. Con successivo Daspo emesso nei confronti di un uomo per il comportamento «sicuramente diffamatorio, nonché volto all’incitamento alla violenza, oltre a costituire anche il reato previsto e punito dall’articolo 18 l. nr. 773 del 18.06.1931». A distanza di tre anni il Tar ha accolto il suo ricorso con contestuale annullamento della misura.
21 MARZO 2018, PERUGIA-HALKBANK ANKARA 3-0
Il Daspo e la difesa
Nel ricorso dell’uomo contro la questura di Perugia e il ministero dell’Interno è stato specificato – si legge nel dispositivo – che l’iniziativa era finalizzata a «criticare la politica del premier» che «aveva determinato significative perdite in termini di vite umane militari e civili, con l’intento anche di sensibilizzare alla vicenda gli spettatori presenti all’incontro». Per lui divieto annuale di accesso in tutti i luoghi «in cui si svolgono manifestazioni sportive, riguardanti la pallavolo ed il calcio, professionistiche e dilettantistiche regolarmente iscritte alla Figc e Fipav nonché tutte le competizioni ufficiali ed amichevoli delle nazionali italiane». Esteso anche «in occasione di competizioni sportive riguardanti il calcio e la pallavolo, a partire da due ore prima dell’inizio e due ore dopo il termine e per una distanza di metri 400, ai luoghi antistanti gli impianti dove si svolgono le manifestazioni sportive, alle stazioni ferroviarie interessate all’arrivo e partenza, dei convogli delle tifoserie, ai piazzali adibiti alla partenza, arrivo e sosta, compresi autogrill, degli autoveicoli che trasportano le tifoserie medesime, ai luoghi di allenamento, di ritiro, di arrivo e partenza delle squadre coinvolte in dette competizioni». A difendere gli interesse dell’uomo gli avvocati Azzurra Pellegrini, Silvia Serangeli e Pietro Giovannini.
Il sequestro e l’incitamento alla violenza
In tutto ciò è intervenuto anche il procuratore della Repubblica di Perugia: ha ritenuto non configurabile «il reato di cui all’articolo 18 Tulps poiché la manifestazione non era avvenuta in luogo pubblico, ma in luogo aperto al pubblico, rimanendo astrattamente configurabile la sola fattispecie di cui all’art. 595 c.p., rispetto alla quale il termine per la querela non risultava ancora spirato». Il Pm ha quindi provveduto al dissequestro delle bandiere, mentre è rimasta la misura per lo striscione. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento del Daspo per una presunta illegittimità del provvedimento in quanto «non preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento», nonché per «difetto di istruttoria e travisamento dei fatti poiché l’amministrazione non avrebbe considerato l’inconfigurabilità del reato di cui all’art. 18 Tulps, perché la manifestazione non è avvenuta in luogo pubblico, ma aperto al pubblico, e inoltre perché lo striscione non aveva contenuto diffamatorio, ma di natura squisitamente politica, come pure rilevato dal Tribunale del riesame di Perugia, comunque non riconducibile ad alcuna forma di incitamento alla violenza. A quest’ultimo proposito, il ricorrente si duole del fatto che l’amministrazione resistente avrebbe ritenuto di ravvisare un incitamento alla violenza – il passaggio nella sentenza – nel legittimo esercizio della libertà di manifestazione del pensiero nella forma della critica politica, oggetto di tutela costituzionale (art. 21) e sovranazionale (art. 10 Cedu), e ciò in mancanza di qualsiasi evidenza in ordine alla adozione di comportamenti concreti che potessero essere considerati indice di pericolosità per la sicurezza e la moralità pubblica o tali da determinare o agevolare situazioni di allarme o di pericolo». Lo striscione fu esposto da un gruppo di persone sulla gradinata superiore, lato spogliatoio del team di casa.
Il Tar accoglie tutti i motivi
I magistrati amministrativi spiegano che i pretesi «motivi di necessità ed urgenza indicati nel provvedimento impugnato attengono ‘all’attività sportiva in corso’, ma tanto la nota della Digos contenente la proposta di Daspo, quanto il provvedimento del questore risalgono, ovviamente, a date successive, nelle quali l’attività sportiva in questione non era evidentemente più in corso di svolgimento. Appare pertanto palesemente incongrua la motivazione delle ragioni che, secondo l’amministrazione resistente, avrebbero giustificato l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento all’interessato». Nel dettaglio sono accolti anche gli altri motivi di ricorso: «Quanto al riferimento all’art. 18 del Tulps, sono condivisibili le considerazioni svolte già dal Pubblico ministero in ordine alla inconfigurabilità del reato previsto dalla citata disposizione, in considerazione del fatto che la vicenda si svolse non in un luogo pubblico, bensì aperto al pubblico, ovvero un palasport con accesso condizionato al possesso del biglietto. Per quanto riguarda il pregiudizio per l’ordine e la sicurezza pubblica ed il preteso incitamento alla violenza, unici profili che potrebbero astrattamente giustificare la limitazione della libertà personale impressa dal provvedimento – dovendosi escludere, a tal fine, il rilievo dell’ipotizzato carattere diffamatorio dell’uso del termine ‘terrorista’ –, deve rilevarsi che le espressioni utilizzate nello striscione di che trattasi, seppur esprimendo sentimenti di aspra critica rispetto alla condotta di un capo di governo in relazione ad una specifica e grave vicenda (l’invasione turca), non sono riconducibili ad alcuna forma di incitamento alla violenza, ma costituiscono esercizio del diritto di critica politica costituzionalmente garantito e non conculcabile in nome di non meglio specificate esigenze di ordine e sicurezza pubblica. Del resto, non appare senza significato che la stessa amministrazione resistente, su ricorso gerarchico di alcune delle persone coinvolte – insieme al ricorrente, ndR – nella vicenda di cui trattasi, abbia annullato il Daspo emesso nei confronti delle stesse». Risultato: ricorso accolto e stop al provvedimento.