di F.L.
Riprende la mobilitazione all’Ast di Terni, dove ottobre si apre con uno sciopero di due ore: a proclamarlo in maniera unitaria sono state le rsu di Fim, Fiom, Uilm, Fismic, Ugl e Usb per ogni fine turno nella giornata di venerdì e per l’inizio turno della quarta squadra nella giornata di sabato. Motivo della protesta, «l’evidente e inaccettabile piano di riorganizzazione e in particolar modo di esternalizzazioni e ristrutturazioni» avviato, secondo i delegati di fabbrica, «in modo unilaterale dall’azienda». Intanto è scontro anche con le segreterie territoriali degli stessi sindacati, ai quali l’azienda, di fronte alla richiesta di ultrattività degli accordi del 2014 e del 2019, ha risposto che «allo stato attuale non può assumersi altri impegni sugli organici».
Il nodo del contendere
Per quanto riguarda la riorganizzazione denunciata dalle rsu «tale processo – scrivono – è stato avviato in modo scellerato nell’area dei servizi centrali, dove attraverso il taglio di postazioni di lavoro si stanno penalizzando fortemente i lavoratori sociali e si stanno precostituendo le condizioni per far venir meno il carattere di importanza e di strategicità di enti da sempre funzionali e determinanti per la produzione. Inoltre la mancanza di serietà, di correttezza dei metodi e di chiarezza nei criteri, evidenzia un atteggiamento aziendale che non è minimamente volto al miglioramento, alla valorizzazione alla prospettiva, ma bensì all’approssimazione, alla mal gestione e all’assoluta mancanza di rispetto nei confronti di chi quotidianamente lavora e da molti anni contribuisce con sacrificio ai risultati». Nello specifico il management avrebbe comunicato alle rsu la necessità di spostare personale dei servizi collegati alla produzione (come l’officina meccanica, quella elettrica, il movimento etc.) in altri reparti dello stabilimento dove c’è carenza, per far fronte all’aumento dei volumi previsto ad ottobre e novembre (quando la produzione si dovrebbe attestare sulle 100 mila tonnellate al mese). In totale dovrebbero essere interessate allo spostamento alcune decine di persone (si parla di una cinquantina, ma i numeri precisi non sono stati ancora resi noti) e i servizi in questione verrebbero così esternalizzati.
«Sarà scontro»
Le rsu accusano senza mezzi termini l’azienda di «arroganza», atteggiamento che – continuano – «per quanto ci riguarda, si traduce esclusivamente in perdita di posti di lavoro, come avvenuto e più volte denunciato per i lavoratori somministrati, in perdita di professionalità e ovviamente in un peggioramento delle condizioni di sicurezza di tutti i lavoratori. L’attuale basso livello delle relazioni e dei rapporti sindacali e industriali, in assenza di un immediato ed evidente cambio di passo – concludono le sei sigle -, darà inevitabilmente il via a un autunno caldo all’insegna delle mobilitazioni e dello scontro». Lo sciopero arriva in uno snodo temporale importante, tra la chiusura dell’anno fiscale 2019/2020 e la scadenza dell’accordo ponte sottoscritto al Mise, che Ast ha spiegato di non voler rinnovare in vista della vendita dello stabilimento. Sul piatto diversi temi rimasti in sospeso, come quello dei livelli occupazionali, in cui rientra anche la questione esuberi tra impiegati e quadri: con la procedura di licenziamento collettivo, aperta nell’estate 2019 per 50 figure, infatti, se ne sono andati volontariamente dall’acciaieria e con un incentivo solo una ventina, ma l’azienda sarebbe intenzionata a portare a compimento quel progetto. Come è ancora prematuro dirlo, di certo le premesse non sono buone.
La lettera delle segreterie e la risposta
Nel pomeriggio di mercoledì è arrivata la conferma ai timori, leggendo la risposta della direzione aziendale alla lettera di ultrattività degli accordi ministeriali del 3 dicembre 2014 e del 13 giugno 2019 inviata in viale Brin il giorno precedente. L’ultrattività viene confermata per la parte salariale (dunque l’integrativo aziendale) per ulteriori 12 mesi, mentre per quanto riguarda gli investimenti per l’esercizio 2020-21 Ast si impegna a fare investimenti su salute sicurezza e tutela ambientale e per mantenere i livelli di competitività, «ma senza quantificarli e contestualizzarli» sottolineano le segreterie. Sull’occupazione «cita le uscite volontarie e afferma che non può assumersi allo stato attuale altri impegni riguardo gli organici». «Come segreterie – dicono le sei sigle riteniamo preoccupante questo atteggiamento dell’azienda che vuole gestire in maniera unilaterale la fase di transizione. Confermiamo la tornata di assemblee e i percorsi istituzionali intrapresi».

Uilm all’attacco: «Non c’è una visione né una prospettiva»
Il coordinatore regionale Uilm Umbria, Simone Lucchetti, esprime «grande preoccupazione per la situazione e per le vicende che stanno attraversando il sito industriale temano rispetto alla vendita e alle dinamiche che oggi stanno travagliando Acciai Speciali Terni. Oggi, con grande rammarico, non si vede una visione industriale che possa dare prospettiva di sviluppo ancorché il mantenimento di quello che conosciamo con le sue produzioni e gli assetti industriali condivisi. A maggior ragione – prosegue Lucchetti – se si inquadra la situazione ternana in quella nazionale si evidenzia una completa disattenzione nei confronti di un settore strategico per il paese, come la siderurgia. Il governo nazionale deve immediatamente prendere in mano la situazione di tale settore e farci capire se ha veramente le idee chiare sulla strategicità e sulle implicazioni negative che il depauperamento dello stesso provocherebbe, inserito in una crisi che il paese sta attraversando, senza precedenti, con conseguenze drammatiche. La vicenda di Taranto è altamente indicativa di quanto occorra competenza, impegno e determinazione per sintetizzare le complesse e delicate problematicità di qualsiasi processo siderurgico implichi. Oggi – afferma il coordinatore della Uilm Umbria – viene messa in discussione un intero sistema industriale e di conseguenza un modello di sviluppo consolidato, senza avere le idee chiare sulla coniugazione di produzione siderurgica, ambiente e salute. Quando si sente parlare di acciaio ‘green’ occorrerebbe capire bene le articolazioni del progetto, considerando che abbiamo sempre creduto che gli investimenti su un ambiente compatibile con la produzione siderurgica possono e debbano coesistere. Non è assolutamente possibile pensare di mantenere e rilanciare la siderurgia italiana con gli slogan».