Il ‘Mostro di Foligno’ prende carta e penna per scusarsi con una lunga lettera inviata al quotidiano L’Unione Sarda. Per cosa? L’uccisione di due bambini, Simone Allegretti e Lorenzo Paolucci, avvenute tra l’ottobre del 1992 e l’agosto del 1993. Per il quale fu condannato dalla Corte d’assise d’appello di Perugia a 30 anni di carcere: dal 2015 si trova in una struttura – ex ospedale psichiatrico – di Capoterra, Sardegna, per l’esecuzione delle misure di sicurezza. «Se potessi tornare indietro non rifarei mai quello che ho fatto perché è distruzione della vita e disprezzo del creato», il passaggio conclusivo di Luigi Chiatti.
LUIGI CHIATTI «PERICOLOSO», RESTA IN SARDEGNA
La lettera: «Non chiedo il perdono, ma di concedermi di dare ‘un senso’ al sacrificio delle vittime»
Dopo 22 anni di detenzione il 50enne nativo di Narni è stato trasferito nella struttura di Capoterra. Da lì ha scritto la lettera inviata al quotidiano sardo: «Innanzitutto ritengo doveroso rivolgermi ai familiari delle povere vittime: Simone Allegretti e Lorenzo Paolucci, prematuramente private a causa mia della loro vita. Ciò che vorrei trasmettere è che, ancor oggi, nel loro ricordo, provo una forte sensazione di immenso dolore personale che mi strugge grandemente nel ricordo dal profondo del mio cuore, tanto da aver suscitato in questi lunghi anni tanti e tanti interrogativi, tra i quali il principale è se fosse giusto o no concedermi la possibilità di rinascere a vita nuova e, quindi, rientrare tra le gente in società, considetato il dolore presente, senza fine, che a causa mia si è determinato ed è presente nelle famiglie e in tante altre persone legate alle vittime. Mi dispiace, vi chiedo umilmente scusa con il cuore in mano. Non vi chiedo di perdonarmi, so che è difficilissimo, ma per lo meno – prosegue Chiatti – di concedermi di dare ‘un senso’ al sacrificio delle due vittime. Io credo, anzi, sono oggi convinto, che anche da un evento così tragio si possa trarre qualcosa di positivo, dal male più profondo può emergere la luce attraverso un processo di trasformazione e rinascita interiore della persona, ed è quello che è accaduto in questi anni».
Il male e i ricordi
L’assassino dei due giovanissimi spiega ora «di essere una persona molto diversa, che non si riconosce in quella descritta dai mass-media, che bisogna riconoscere svolgono il loro preziosissimo lavoro ma che, non avendo avuto contatti diretti con me, anche per una mia scelta che fino ad oggi ho voluto fare per rispetto di tutti, hanno proiettato sempre la stessa immagine cristallizzata di me, senza evidenziare gli importanti progressi ottenuti, grazie all’opera di tutti gli operatori che hanno avuto modo di lavorare su di me, sull’elaborazione di fatti e sulla strutturazione della mia persona. In questi anni di restrizione ho cercato di trasformare tutto il male fatto in gesti di aiuto nei confronti di chi, come me ristretto, si trovava in difficoltà nello svolgere al meglio tutte le mansioni di responsabilità che mi venivano assegnate, comportandomi bene con tutti, tanto da essere ben voluto da tutti quelli che mi hanno conosciuto personalmente e, ogni volta che lo facevo per me, era un dono fatto a Simone e Lorenzo. E ciò mi rendeva immensamente felice perhé era un modo per dare, come ho già detto in precedenza, un ‘senso’ alla loro prematura morte. Ho cominciato ad apprezzare le gratifiche delle persone da me aiutate. Nella vita non c’è miglior cosa che agire per il bene, i ricordi delle persone aiutate rimangino per sempre ed illuminano la vita».
Il nuovo percorso: «Luce non più negativa»
Si arriva al 2015: «Adesso mi trovo presso la Rems di Capoterra dal 2015, dove ho trovato – continua Chiatti – degli operatori molto scrupolosi ma al contempo capaci di dare avvio, dopo più di un anno di osservazione, ad un percorso esterno. Dal dicembre 2016 sto usufruendo con esito positivo di licenze accompagnate dagli operatori. Devo osservare che se nel corso della detenzione in carcere non ho mai usufruito di benefici, non è dovuto alla mancanza di requisiti comportamentali o di preparazione interiore o di mancata rielaborazione dei fatti, ma dal semplice fatto che la legge prevede che prima si dovesse provedere alla verifica della pericolosità sociale e che questa può essere svolta solo in prossimità del termine della pena detentiva, quando vi è prossima la possibilità dell’apllicazione della misura di sicurezza ordinata in sentenza. Ora, non avendo potuto usufruire dei benefici a causa dell’attesa della riesamina della pericolosità sociale, era difficile pensare ad un’uscita immediata dopo la detenzione ma, più sensata la decisione di applicare la misucra di sicurezza per dare poi avvio, come è successo, a quella fase di reinserimento esterno. Prima di porre termine a questo mio scritto vorrei rassicurare, per quanto mi è possibile, le famiglie delle povere vittime. Oggi c’è una persona diversa ristretta, una luce non riconosciuta che vuole essere accolta semplicemente perché è luce, non è più negativa ma positiva, e che vuole tanto dare agli altri, trasmettere sé stessa e dare un ‘senso’ a tutto ciò che è avvenuto e che non doveva avvenire. Se potessi tornare indietro non rifarei mai quello che ho fatto perché è distruzione – conclude – della vita e disprezzo del creato. Scusatemi».