Elezioni, era meglio quando era peggio?

La richiesta di tornare alle preferenze – o, come fa l’M5S, al proporzionale – ha dato origine ad un dibattito da seguire – Il corsivo di Walter Patalocco

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di Walter Patalocco

Nel 1968, per le elezioni amministrative, era tutto un fiorire di pubblicità elettorale. Ognuno dei tanti candidati alle comunali e alle provinciali inondava le strade di volantini, mentre erano decine e decine le automobili che andavano in giro con le “trombe” degli altoparlanti sul tettino, e con manifesti col simbolo del partito o i faccioni di questo o di quello, appiccicati con lo scotch sulle fiancate e sul cofano.

Spese esagerate cui si tentò di mettere un freno vietando certi tipi di pubblicità elettorale. Anni dopo si individuò una delle cause del sistema tangentizio proprio nel sistema elettorale: basta proporzionale e basta preferenze si chiese a gran voce. Bisognava passare al sistema maggioritario e ciò avrebbe contribuito a frenare la corruzione. O almeno lo si credeva, perché s’è visto poi com’è andata.

Con le preferenze, per di più – sosteneva chi ne chiedeva l’eliminazione – erano i partiti a decidere chi sarebbe stato eletto. Bastava fare alcuni ” giochetti” con la posizione in lista e con i numeretti corrispondenti, che poi sarebbero stati segnati sulla scheda. Niente più numeretti, niente più liste, niente più preferenze, ma collegi uninominali e sistema maggioritario. Che lasciava intravedere anche un altro vantaggio: la fine dei piccoli partiti.

O di qua o di là, ma non si considerava la straordinaria inventiva di certi politici italiani. Tanto è vero che un sistema che si pensava potesse limitare il numero di partiti e partitini s’è rivelato invece capace di farli moltiplicare, nascere e morire a seconda delle bisogna, dividersi, fondersi, riscindersi e saltare da uno schieramento all’altro.

Con la richiesta di tornare alle preferenze e, come fa l’M5S, al proporzionale si è ora arrivati alla chiusura del cerchio, alla considerazione che forse era meglio quand’era peggio. Un ritorno all’origine per evitare – si sostiene – che siano i partiti a decidere gli eletti che diventano, anzi, “nominati” da gruppi riuniti in segrete stanze.

Il dibattito è acceso, si vedrà quale sarà la scelta definitiva. Non dimenticando, gli elettori, che dai tempi del proporzionale esistono i cosiddetti “collegi sicuri”, quelli che, a meno di “terremoti” asssegnano una messe di voti a chiunque rappresenti il partito che lì, in quella zona, hanno sempre sostenuto.

Per esempio: quante personalità di spicco sono state elette in Parlamento al collegio di Orvieto che ha tradizionalmente assicurato un largo sostegno a candidati della sinistra? E quando, dopo la buriana di tangentopoli, il magistrato Di Pietro entrò in politica, non fu candidato dalla sinistra in collegio toscano dov’era facile prevedere il risultato? E quel senatore Gotor che s’è battuto contro i nominati non è stato eletto in Umbria, dov’era quasi sconosciuto, perché capolista al Senato così come stabilito dalla segreteria del Pd?

E’ o non è corretto in linea teorica pensare allora che i nominati spariranno quando non ci saranno più collegi sicuri? O siamo già a questo punto?

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