Il ‘metodo valentiniano’: un insegnamento

La scelta del patrono dimostrò che, individuando le esigenze più generali e prendendo di petto un problema di tutti, il traguardo si raggiunge

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di Walter Patalocco

Quando, sotto Urbano VIII, ci fu da scegliere il santo patrono di Terni la contesa fu aspra. Solo apparentemente legata a questioni religiose, essa invece affondava le radici nelle condizioni economiche e sociali. Toccò a San Valentino che fu da quel momento il patrono di tutti i ternani, anche di quelli che non lo avrebbero voluto. E comune fu l’impegno nella devozione e nella valorizzazione della sua figura.  A muovere tutto era il sentimento religioso, ma l’effetto fu anche di accrescere il prestigio della città, e quindi le opportunità.

L’obbligo di scegliere si collegava all’esigenza, secondo il papa, di moralizzazione. Nel medioevo si assistette alla proliferazione dei patroni. Ognuno, nella stessa comunità, sosteneva il santo che riteneva più vicino alla sue esigenze. A ciascuna ricorrenza, però, giovino tutti. Nel 1600 era ormai un susseguirsi di festeggiamenti, e per il papa troppe erano le occasioni goderecce, seppure ammantate di religiosità. Decise, così, di darci un taglio: ogni città doveva avere un santo protettore. Uno solo. Che i fedeli scegliessero.

Terni di patroni ne aveva tre: Anastasio, Procolo e Valentino. Procolo fu subito escluso, ma tra i sostenitori di Anastasio e quelli di Valentino la tensione fu seria. Non si trattava, ovviamente, di una ‘guerra’ di religione. Né ci si confrontava sulla simpatia per l’uno o l’altro santo. La contesa era tra gruppi sociali, tra due livelli di potere: il popolo ed i magistarti cittadini erano per Valentino; le famiglie facoltose e i chierici per Anastasio.

San Valentino era protettore di Terni dagli albori, da quando cioè il cristianesimo stava, via via, soppiantando il paganesimo. Per quel santo che era stato vescovo di Terni, martirizzato dai Romani e sepolto su un colle vicino alla città, si scelse quale giorno di celebrazione il 14 febbraio. E’ noto che la chiesa, per non entrare in conflitto con le tradizioni pagane, utilizzò in più occasioni la mossa di far coincidere una festa religiosa con una festività pagana inglobandone nei limiti del possibile l’essenza. Il 14 febbraio era, sì, il giorno del martirio di Valentino, ma in era pagana era il giorno dei Lupercali,  della festa della fertilità e dell’amore. E il protettore di Terni fu anche il santo degli innamorati. Due o tre secoli dopo, quando i costumi stavano imbarbarendosi, la Curia Romana inviò a Terni, quale vescovo, Anastasio. Col compito di  ristabilire la moralità. Anastasio, dichiarato santo dopo la sua morte, fu sepolto in Cattedrale.

Non poteva andare tutto liscio, quindi: c’era da scegliere tra il santo popolare e quello più aristocratico e curiale. Per risolvere il confronto ci volle il pronuciamento del papa che, per parte sua, chiuse la vicenda con poche parole: «Il popolo vuole Valentino, e Valentino sia». E fu. Per tutti.

Appianate le divergenze, evitando polemiche e rancori successivi, ci si impegnò perché la devozione a quel santo già tanto conosciuto quale patrono degli innamorati anche in paesi lontani, fosse promossa, resa ‘fruibile’ ai più. Perciò andavano cercati i resti del santo, le sue reliquie lassù, su quel colle dove, ridotto in condizioni pietose, resisteva il rudere della basilica a lui dedicata. Mano al portafogli; si impiegò denaro sia della municipalità che della Chiesa, si chiamarono studiosi d’eccellenza e si raggiunse lo scopo. I resti vennero ritrovati e raccolti in una cassetta che fu trasferita al Duomo. Solo temporaneamente, però, perché si dette il là ad un ulteriore investimento e si ricostruì la basilica che si volle degna e di conseguenza con maggiore appeal presso i devoti.

Il fine era quello religioso, ma gli effetti pratici furono identici a quelli di un’azione di promozione turistica e di marketing territoriale, incentrata sulla figura del santo patrono. Con successo se si considera che quello delle intercessioni era uno dei principali meccanismi che spingevano a viaggiare. Attraverso le virtù di San Valentino si propagandava la città, ed aumentavano le occasioni di confronto e crescita, anche economica.

Quel metodo dette pure frutti più ‘terreni’. L’arciduca d’Austria, devoto a San Valentino volle passare a Terni per venerarne le reliquie, e nell’andarsene, versò duemila scudi per arricchire la dimora del santo e ‘sponsorizzò’ la realizzazione dell’altar maggiore della basilica.

Il ‘metodo valentiniano’, dimostrò che mettendo da parte polemicucce, interessi di bottega e rivalse ed agendo con coraggio, individuando le esigenze più generali e prendendo di petto un problema di tutti, il traguardo si raggiunge. E non solo se c’è di mezzo un santo in paradiso.

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